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“A Ritrovar le Storie” di Annamaria Gozzi e Monica Morini, ill. Daniela Iride Murgia, Edizioni Corsare

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

ritrovarlestoriecopLe parole sono le maglie che compongono le storie. E le storie sono le ali sulle quali viaggiano i ricordi. I ricordi sono il collante che tiene assieme le comunità e le generazioni. Senza le parole, le storie e i ricordi non ci sarebbe il tessuto, la trama e l’ordito dai quali risulta la memoria, l’anima di una collettività che si accresce e si tramanda.

Togliere le parole vuol dire anche sottrarre i luoghi dello scambio, le piazze, le vie dove si intrecciano le fila, gli slarghi dove un tempo i cantastorie si fermavano e la gente a crocchi li attorniava, assetata di fiabe e di notizie di posti lontani, i focolari accanto ai quali i nonni raccontavano ai nipoti.
Oggi abbiamo ancora le parole, anzi spesso ne siamo bombardati, ma c’è sottratto il nastro che attraverso l’oralità e lo scambio le lega e le rende da aride a vive.

Rendere ad una comunità le parole vuol dire quindi restituire il senso, il modo e il luogo del loro intreccio, ricordare che parole, storie e ricordi passano attraverso le bocche che le pronunciano. E’ un passaggio necessario – da giovani a maturi, da anziani a bambini – ma senza la materia prima che lo anima – le persone – si smarrisce il senso della comunità. E con la comunità della storia, che poi è la somma di tante storie e di tante memorie.

Questo valore – del racconto, dell’incontro, del flusso – è raffinatamente ed evocativamente rappresentato nell’albo “A Ritrovar le Storie” di Annamaria Gozzi e Monica Morini, illustrato da Daniela Iride Murgia, appena selezionato nella terna dei finalisti al Premio Andersen come miglior libro da 6 a 9 anni.

Un’opera in grado di creare, attraverso testo ed immagini, un’atmosfera suggestiva, ricca di eco e di rimandi all’immaginario popolare, alle tradizioni del narrare e dell’oralità, carica dell’aurea della leggenda, parimenti saggia, illuminante e immaginifica.

Un invito non soltanto a ritrovare le storie del patrimonio culturale ma anche, e forse soprattutto, a non dimenticare come esse si compongono e prendono vita: dalle parole quando esse incontrano la materia viva dei ricordi e delle esperienze delle persone e, invece di venir taciute o semplicemente usate in maniera funzionale, si intrecciano, si inseguono le une con le altre.
Le storie sono legami di parole che testimoniano altri primigeni legami di anime e combinando memorie creano la Memoria, la quale non è soltanto ricordo di ciò che è avvenuto ma anche, più significativamente, un rinnovarsi e tramandarsi dello spirito degli accadimenti.
Allo stesso modo, senza le parole le storie e quindi i ricordi e le memorie non avrebbero possibilità di esprimersi, resterebbero silenziosi e di fatto inesistenti, si perderebbero nel singolo invece di accrescersi nella collettività. Le parole sono quindi sostanza e materia, non solo mattoni ma anche motore.

C’è un paese – Tarot – che parrebbe antico: case basse, strade strette, sullo sfondo delle montagne.
Come nelle fiabe, un corsivo, dal quale si affaccia il narratore, cantilenando ci assicura che la storia che stiamo per incontrare è quasi vera (il “quasi” si perde poi nella chiusa)

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Affermazione corretta perché un racconto che, come questo, si fa simbolo non può che essere vero. Un’autenticità che non passa sul piano di realtà ma su quello, significante e significativo,, della rappresentazione di una condizione, umana, sociale o emotiva che sia.
Il surrealismo che lega testo verbale e illustrazioni non è semplicemente un espediente letterario o uno stile iconico ma indica che spazio e tempo della narrazione sono “altri” rispetto a quelli esplicitamente dichiarati. Come nelle fiabe – ancora – ci muoviamo all’interno di una dimensione immobile ed eterna e in presenza di un linguaggio – visivo, verbale – simbolico e archetipico.

Nel luogo che viene narrato una volta – molto molto tempo fa – esistevano le storie che, composte dalle particelle sonore delle parole, proteggevano e accompagnavano tutti gli esseri viventi.
Quando le parole sbiadirono e via via si persero, con esse morirono le storie e con le storie i ricordi rimasero intrappolati nei singoli, lasciati invisibili dall’impossibilità dell’espressione e della condivisione.
Un mondo quindi arido, vuoto, composto da solitudini mute poste l’una accanto all’altra, incapaci di annullarsi intrecciandosi.

Ma accadde un giorno che nella piazza del paese di Tarod apparve un saltimbanco accompagnato da un’oca.

La figura del saltimbanco, come un giullare, un cantastorie, un vagabondo, è subito un presagio di mutamento. Agli eccentrici, agli artisti, ai senza dimora, ai viaggiatori, appartiene da sempre, nella letteratura per l’infanzia, il ruolo di disvelatori di verità, di saggi senza averne l’aria. Questo perché alla fantasia, al pensiero visionario, si attribuisce la capacità di vedere oltre, sancendo così l’importanza di non smarrire la capacità di immaginare.

Il saltimbanco, a differenza di ciò che si potrebbe anticipare, non compie in apparenza alcuna azione degna di nota: non declama, non si esibisce, non si pone al centro all’attenzione. Solo si limita a girare in bicicletta con un cartello sul quale è scritto, appunto “BICICLETTA”.
Ma qualcosa accade. Un donna ricorda una bicicletta vista passare e…

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Si ricomincia piano piano a parlare e il saltimbanco carpisce un’altra espressione – “SO FARE” – e la riporta su un altro cartello.
Anche stavolta si produce l’effetto di accendere memorie. Si aggiunge un uomo anziano, recando anche le sue storie. E poi una bambina a portare le sue esperienze di “PAURA”.

Giovane, vecchio, maschile, femminile, il legame dei ricordi travalica generazioni e genere, anzi li tiene assieme, permettendo il flusso e lo scambio.

Così di reminiscenza in reminiscenza, di storia in storia, emergono altre parole. E dalle parole, sempre riprese e scritte dal saltimbanco, altri agganci di memoria ed emozioni.
Fin quando il processo non sarà maturo per andare avanti da sé…

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Dalla parola scritta alla verbalizzazione e condivisione di un racconto personale o inventato, in una sequenza opposta a quella che ha portato alla nascita e poi al tramandarsi delle fiabe, che dalle bocche dei narratori popolari sono arrivate poi nei libri, grazie ai raccoglitori e trascrittori.

I cartelli del saltimbanco hanno la funzione di piccole micce in grado di accendere – anzi di ri-accendere – la capacità naturale del raccontare, catalizzatori di memorie, sentimenti e vissuti. L’intreccio è poi reso dalle storie che emergono, che, a loro volta, ne richiamano altre nel vicino, formando un tessuto animato e animante che innesca la relazione.

Dalla parola all’immagine evocata, dall’evocazione al ricordo, dal ricordo alla storia, dalla storia di nuovo, forse, al testo scritto, al libro, cristallizzatore di racconti che possono tornare a vivere se letti, rimessi in circolo.
Si intuisce in quest’albo la materia viva del linguaggio: la parola che in apparenza appare astratta, pura, di fatto non lo è mai, perché letta o verbalizzata sempre dall’individuo che ad essa aggancia parte del sé e lo rende da privato a condiviso.

I vocaboli scelti dalle autrici parrebbero particolarmente evocativi – e in effetti alcuni, come “morte”, “amore”, “vita” indubbiamente lo sono – ma una delle riflessioni che mi sono trovata a compiere è quanto di fatto molte parole, anche più semplici e modeste, possano diventare punto di partenza per innescare la memoria e il racconto.
Questo è sottolineato anche dall’originale Gioco dell’Oca che si trova in fondo all’albo, aprendo l’ultima facciata lungo la piegatura esterna. In apparenza simile al ben noto passatempo – lancio di dadi, percorso con pegni e premi, vittoria a chi arriva per primo all’ultima casella – ma profondamente diverso perché le penitenze da pagare ad ogni casella sono a suon di ricordi legati ad una data parola, secondo lo stesso meccanismo che ha animato il libro.

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In tal modo i piccoli lettori possono provare in prima persona la magia della lingua, del racconto e del ricordo, saggiandone la vitalità e accendendo scambi tra i vari giocatori.

Le tavole, parimenti al testo che è curatissimo, raffinato, elegante e molto suggestivo, aiutano il lettore ad immergersi in un’atmosfera che è allo stesso tempo onirica e ricca di rimandi alla tradizione.

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Surreali e incantate, prive dei limiti imposti da dimensioni o collocazioni realistiche ma allo stesso tempo impeccabili, le immagini – coi loro colori freddi e armoniosi, la preziosità, le texture originali e finissime – paiono quasi bassorilievi in grado di uscire dalla pagina fisica e arrivare a cogliere la profondità di un inconscio che più che psicoanalitico definirei collettivo-popolare, in grado di attingere alle varie anime individuali per congiungerle tramite il potere salvifico e vitalizzante del linguaggio.

(età consigliata: da 6 anni)


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