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A rotta di Colle

Creato il 17 dicembre 2013 da Albertocapece

giorgio-napolitano2Anna Lombroso per il Simplicissimus

Un monarca obnubilato dal delirio di onnipotenza e interessato solo alle sorti del suo proconsole, che parla come un preside asserragliato in ufficio mentre intemperanti ragazzini occupano la scuola: “Rischio scosse sociali, attenzione a malessere. No ad elezioni anticipate, subito la riforma elettorale in senso maggioritario. Severo richiamo al rispetto della legge. Avviso a Berlusconi: “Basta evocare colpi di Stato”.

I giornali oggi titolano tutti sull’immancabile monito,  con il sollievo condiviso con la classe politica,  di subire il rituale pistolotto periodico, per poi continuare a fare quello che si è sempre fatto, non informare, imprimere le scosse sociali, così che il susseguirsi di choc abbia l’effetto demiurgico di abituare al peggio fino all’ultimo terremoto, quello di marca golpista.

L’apoteosi di questa liturgia pedagogica si è avuto con il primo discorso della rielezione, quando tutto il Parlamento accolse con voluttuosa sete di pentimento le bacchettate di chi li li rimbrottava per essere legittimato a delegittimarli ben prima della Corte, imponendo per la seconda volta un cavallo, un delfino, un console di suo gradimento con l’ostinata tenacia dei vecchi che pensano che l’esperienza e l’età avanzata sostituiscano competenza, autorevolezza, ragione. accecato dalla sua perversione: salvare questo governo e con esso l’ubbidienza cieca e assoluta all’ideologia e ai diktat europei, sancire il fraintendiomento delle larghe intese come scorciatoia all’ineluttabilità di  più ampi poteri presidenziali e di progressivo svuotamento del parlamento, ampiamente adottato con le decretazioni e il ricorso alla fiducia, ridurre credibilità e potenza della critica, tacciando ogni opposizione di eversione proprio come fa il ministro dell’interno, raccomandando ascolto in sostituzione della’zione.

L’avvertimento ricattatorio, o così o me ne vado, l’intransigenza sia pure solo verbale, non sono piaciuti a Berlusconi nella sua nuova veste di co-leader dell’opposizione insieme all’altro comico,. Si aspettava più lealtà, quella fedeltà e coesione che dovrebbe unire i correspnsabili della crisi così come dellla crisi della politica. In fondo  l’avventuriero in attesa di condanna, aveva dato credito alla formula di governo Berlusconi-Mapolitano, salvifico per lui e giustificato per il migliorista   con il sedicente stato di necessità e nobilitato da illustri percedenti che parlano di ineluttabile realpolitik, con il più o meno esplicito richiamo alla tradizione togliattiana, così come  al compromesso storico di Berlinguer. E si era illuso quando il monarca vibrante si è dimostrato inquietantemente  tiepido e torpido quando gli allora suoi numerosi fan  andarono a manifestare sfrontatamente sotto il Palazzo di Giustizia. Era convinto che   il presidente della Repubblica  avrebbe mantenuto i patti incredibili siglati tra chi dovrebbe per ruolo e incarico essere garante della costituzione  e i suoi nemici espliciti e giurati, accusata di rappresentare iniquo ostacolo al dinamismo della libera iniziativa e alla vivacità della modernità. E aveva ragione di fidarsi, non solo perché i salvataggi si erano susseguiti puntuali e tempestivi, ma perché le invocazioni ecumeniche di tutela della Carta, hanno rivelato la loro vera natura di burbanzosi messaggi propagandistici,  dietro ai quali si esercitava lo smantellamento dell’edificio di principi e la sottrazione di sovranità. È così anche per la riforma elettorale, diventata moneta corrente di una perenne negoziazione tra poteri impotenti. Nessuno pare volere davvero una  buona legge elettorale in grado di realizzare  le  promesse  della democrazia: che la maggioranza abbia il diritto di governare; che l’opposizione non si senta ingiustamente trattata; e che i cittadini si percepiscano come parte del gioco.

È soprattutto questa terza caposaldo della rappresentatività che non si addice a questo ceto politico, che guarda con fastidio, quando guarda, ai diritti di cittadinanza, primo tra tutti quello di critica, come è normale che sia per chi ha conosciuto solo calde e accoglienti poltrone, garanzie e privilegi inviolabili, carriere promesse e mantenute alla nascita, e che non riconosce i bisogni ormai urlati di chi è da sempre o solo da oggi senza rete di protezione, improvvisamente o più ferocemente indifeso ed esposto.

L’incomprensione burocratica delle ragioni di un magma che scorre febbrile e esplosivo sotto il tessuto sociale, minacciando di venire alla luce in forme sempre più dirompenti, il non riconoscimento espresso perfino dalla Camusso che ha ammesso di non capire cosa vogliano quelli che protestano, è fisiologico e condiviso da chi è direttamente responsabile di una crisi economica, politica, culturale, da chi l’ha tollerata, da chi ne è stato per ora solo fiorato. E che liquida i fermenti giudicando solo quello che affiora, fascistelli, masanielli, padroncini ribelli, per non guardare – per paura – quello che sta sotto e che potrebbe trasformare anche il più quieto dei colli in un vulcano.


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