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Ci sono trailer che ti sanno ingannare alla perfezione. Se fossi il regista, o il produttore, di A Royal Weekend sborserei un bel po' di soldi a chi ha confezionato un trailer che faceva pensare ad una garbata commedia, con brio, ritmo e battute dal tipico humour inglese. La trama poi sembrava di quelle interessanti, visto che va ad analizzare una pagina della storia mondiale non così conosciuta, ovvero l'incontro tra re Giorgio VI e il presidente Roosvelt, con i reali che per primi misero piede su suolo americano venendo ospitati nella tenuta di Hyde Park on Hudson.
La realtà è ben distante, sia dalla aspettative che una pubblicità può dare che da quelle di una trama, perché A royal weekend ha la particolarità di essere uno di quei film che sembra non partire mai, che ti lascia sospeso in un tempo in cui continui a chiederti se prima o poi succederà qualcosa, o semplicemente perché non abbiano montato le battute più divertenti proprio come avevano fatto nel trailer, senza quei silenzi e quegli sguardi che ne svuotano la comicità.
Certo, l'interesse del film si trova proprio in quel punto storico che analizza, la tensione tra Inghilterra e Stati Uniti, i primi bisognosi di aiuti per sovrastare la forza tedesca in ascesa, i secondi vessati dalla recessione, dalla crisi lavorativa che proprio il genio di Roosvelt riuscirà a risolvere non disdegnando di prendersi gioco della corona. Ma più che ai temi storici, il film si sofferma sulla figura di Roosvelt, partendo dalla relazione che proprio in quegli anni iniziò a tessere con Margaret, la cugina di quinto grado. Non era l'unica amante però, ma dai suoi diari -tenuti nascosti e segreti fino alla sua morte- A royal weekend parte, analizzando quindi la figura di due potenze mondiali dal loro lato più umano. Fa specie infatti che i capi delle due nazioni che dovevano affrontare Hitler dovevano quotidianamente affrontare se stessi, i loro deficit fisici, da tutti tacitamente ignorati, ma impossibili da evitare. Se Roosvelt infatti era costretto fin dalla giovinezza sulla sedia a rotelle, re Giorgio era affetto da balbuzie.
Un altro problema sta proprio qui però, nell'interpretazione. Se già Colin Firth aveva dato una splendida prova di sé nel premiatissimo Il discorso del re, affidare un ruolo così rischioso a Samuel West non è stata una saggia idea. Per quanto riguarda il presidente americano c'è invece da dire che il doppiaggio italiano non ha favorito del tutto la commedia e la stessa recitazione di Bill Murray appare scialba e inefficace con la voce irriverente con cui dai tempi di ghostbuster siamo abituati a sentirlo. Meglio invece la fragile e volitiva Laura Linney, che torna al cinema dopo la parentesi televisiva di The Big C.
Ma come se non bastassero queste mancanze, la regia non è certo delle migliori. Probabilmente indeciso su quale tema privilegiare, Roger Michell passa da scene ben girate e con ottima fotografia ad altre (come la fuga nel bosco di notte) che si potrebbero anche evitare e che mal si collegano tra loro.
Insomma, non fatevi ingannare dal trailer o da chi lo definisce "il degno seguito de Il discorso del re", perché se un film ha il suo apice in un uomo che manga un hot dog, qualche domanda c'è da farsela.
Guarda il Trailer (senza farti ingannare)
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