"Patinato". Questo è l'aggettivo più (ab)usato da tutti coloro che hanno recensito A single man, quasi fosse una parolaccia. A voler fare una battuta, potremmo dire che era il minimo che ci si potesse apettare, considerato che il regista debuttante Tom Ford è stato per tanti anni stilista e creativo di Gucci: come ha scritto il buon Alberto Crespi su "L'Unità", sarebbe stato difficile vedere in questo film abiti e suppellettili acquistati alla Upim... Ma, battute a parte, mi permetto di dire che chi giudica questo film "patinato", "elegante", "freddo", oppure soltanto "un bell'esercizio di stile", secondo me: a) non ha letto il romanzo omonimo di Christopher Isherwood da cui è tratto (ed è un peccato, perchè è un libro straordinario) b) probabilmente non si è neppure sforzato di immaginare come potesse essere l'ambiente nella facoltà di letteratura di un prestigioso college americano degli anni '60... o forse si credeva che gli studenti (e i professori) dell'epoca andassero in giro con i jeans strappati e l'I-pod nelle orecchie? Lasciamo perdere. Delle due ipotesi, a me sinceramente interessa molto più la prima: lo ribadisco, A single man è la trasposizione cinematografica di uno dei più bei romanzi del vecchio secolo. Il libro racconta la storia di George Falconer, professore inglese di mezza età trapiantato a Los Angeles ad insegnare letteratura. George è rimasto solo perchè il suo compagno Jim è morto in un incidente d'auto, costringendolo a sopravvivere in un mondo dove agli omosessuali non è permesso nemmeno di assistere ai funerali della persona amata. George lotta ogni giorno contro l'ipocrisia della gente (che lo detesta ma finge di sopportarlo), contro il dolore dei ricordi (che affiorano, inesorabili, ogni giorno, ogni momento), contro il desiderio (e la tentazione) di provare a vivere una nuova avventura, pur sapendo benissimo in partenza che mai e poi mai troverà (e non vorrà trovare) qualcuno che "sostituirà" Jim nel suo cuore. A consolarlo, ma forse è meglio dire a condividere con lui la sofferenza, c'è solo Charlotte, una vecchia amica di scuola, un tempo donna fatale e avvenente, ora delusa dalla vita e indifferente verso il proprio futuro... Il romanzo di Isherwood è la cronaca, toccante e delicata, di un amore interrotto, un'istantanea di un uomo inconsolabile che non si dà pace per la perdita del compagno, vissuta all'interno di una casa con le pareti di vetro che pare stiano lì a ricordargli, ogni giorno, la propria terribile condizione. Non era facile trasporre sullo schermo un libro del genere, e l'esordiente (esordiente!) Tom Ford lo fa con una grazia e con una sensibilità stupefacenti, evitando di cadere nel facile tranello di ostentare l'omosessualità del protagonista e "ricattare" lo spettatore, giocando sul tasto della morbosità. Ford mostra l'amore di George per Jim come mostrerebbe qualsiasi altro amore etero, facendo leva esclusivamente sui sentimenti e confezionando un film sì elegante e "patinato", ma anche genuino, sincero e profondamente intimo e vissuto, senza mai indulgere al pietismo e alla facile commozone.Non aspettatevi, però, una rilettura pedissequa e filologica del romanzo, perchè non sarebbe stata possibile e perchè il coraggioso Ford intende, giustamente, metterci del suo: a differenza del libro, il film è molto più diretto e impostato, pervaso dall'inizio alla fine da un'aura di ineluttabiltà e di sistematica sofferenza. Il regista racconta la giornata-tipo di George come se fosse, davvero, il suo ultimo giorno di vita: il protagonista, appresa con frasi smozzicate la terribile notizia, decide di dire addio alla vita preparando meticolosamente il proprio suicidio, nei minimi dettagli, senza lasciare niente al caso. Eppure, un po' come accade al personaggio di Andreas Kartak ne "La leggenda del Santo Bevitore", dovrà sempre posticipare l'insano gesto a causa di piccoli ma felici eventi che gli ricordano quanto, a volte, la vita possa essere imprevedibile e forse necessaria...
A single man è un film bello e comovente che non fa nulla per farci commuovere: la sua forza sta nella storia che racconta, nella cronaca disperata di un amore finito, impossibile e travolgente, nella lentezza dello svolgimento che serve, senza cadere mai nella noia, a farci riflettere su quanto a volte possa essere cattiva e spietata la natura umana. Un film fatto di grandi attori (Colin Firth su tutti, se non vince l'Oscar è un reato!) e con grande onestà. Sorprendente. VOTO: * * * *