No, è che la gente dice: “Sei fortunata tu, che puoi stare a casa con la Marmocchia. Che vuoi di più?“.
E che voglio di più?
Un Lucano, direbbe qualcuno. Io, invece, opterei anche solo per non dovermi portare appresso il signor Murphy e la sua cavolo di legge ogni volta che esco di casa con la nana.
Per esempio, dice Murphy “La possibilità che un vasetto di omogeneizzato alla prugna vi sfugga dalle mani e si sfracelli al suolo lanciando in orbita una scheggia di vetro impazzita che, dopo aver transitato tra Giove e Nettuno, discenda di nuovo sulla Terra sfregiandovi una gamba, è inversamente proporzionale al vostro desiderio che questo accada“.
Ore 16, dopo la pennica marmocchia, io, nana e Murphy ci rechiamo al più vicino supermercato per reperire qualche genere di prima necessità che tenga compagnia alle mosche che abitano il nostro frigo ormai da un pezzo.
Da madre premurosa quale sono, non dimentico i vasetti di prugna, potente arma contro l’intestino pigro della Marmocchia.
Le cassiere latitano, Murphy sogghigna (“Se il contratto di lavoro del personale del supermercato prevede una pausa caffè, questa verrà effettuata nel momento esatto in cui finisci la spesa e ti rechi alle casse per pagare“).
Lo guardo di sghembo e mi dirigo verso le casse automatiche.
“Benvenuti” trilla la vocina registrata “Passare il prodotto e inserirlo nel sacchetto“.
Passo il codice a barre sul nastro e ripongo il primo articolo nel sacchetto.
“Inserire il prodotto nel sacchetto” ripete la signorina del nastro registrato.
Sollevo l’articolo e lo ripongo di nuovo nel sacchetto.
“Articolo non trovato. Inserire il prodotto nel sacchetto“.
“L’ho inseritooo” rispondo come se potesse sentirmi.
“Inserire il prodotto nel sacchetto”.
Inizio ad adirarmi e nel tira e molla qualcosa mi sfugge.
È un innocuo vasetto di prugna, alleato intestinale di famiglia. Niente di più.
Ma nello sfracellarsi al suolo si frantuma in mille pezzi lanciando in orbita una quantità di frutta frullata e vetro che non credevo potesse contenere.
La scena mi scorre davanti agli occhi come al rallenty. Finché una melma dal colore poco rassicurante mi inzuppa per intero gambe e piedi.
Ops.
Accorre una tizia in divisa. Ha l’accento russo, lo sguardo truce e credo mi odi.
Mi porge un mini quadrato di scottex e ordina: “Tu pulisce!”.
La ringrazio sperando si riferisca alle mie gambe e non al pavimento.
E mentre cerco di rimediare al disastro, spunta una striscia rossastra appena sopra alla caviglia: aiuto!
L’ultima cosa che ricordo è Mitch di Baywatch che corre verso di me. Sotto l’ascella regge una valigetta del pronto soccorso, al posto della classica tavoletta da surf. Poi il buio.
Quando mi riprendo Mitch sta armeggiando con le garze. Si gira e sorride. Non male. Anche se forse ci rimetto la gamba.
Intanto un paio d’occhi che conosco benissimo mi stanno scrutando. “Tutto a posto amore, la mamma sta bene!”, mento spudoratamente e passo oltre. C’è un tizio della sicurezza. Pare piuttosto allarmato. Poi con una mano si aggiusta l’auricolare: “Emergenza, ripeto emergenza, allertate immediatamente le telecamere”. E fugge via correndo.
Lo sapevo, è grave. Forse non me la caverò.
Solo più tardi apprendo che la sua preoccupazione non era affatto diretta alla mia gamba, bensì all’uscita senza acquisti che aveva lasciato incustodita per soccorrermi.
E così torniamo a casa. I sandali impregnati di prugna, la Marmocchia un po’ perplessa, senza spesa e con una gamba fasciata fino al ginocchio (ché Mitch era un gran bel vedere, ma dovrebbe rileggersi il capitolo su come fare una buona fasciatura).
Fortunata io, che posso andare a far la spesa con la Marmocchia. E poi dicono che la frutta fa bene!