Tavola di san Giuseppe
Poche tradizioni sopravvivono e si tramandano, di madre in figlia, come quella legata alle Tavole di San Giuseppe, tipiche di alcuni paesi nel Salento ma con richiami e somiglianze anche in altri luoghi in Italia, in Sicilia ad esempio. Una Tavola di San Giuseppe, vista dall’esterno, non si differenzia in fondo più di tanto da una tavola in festa imbandita con pietanze salentine di vario genere. A renderla così particolare però sono gli invitati a questo pranzo. Invitati di tutto rispetto. Niente di meno che la Sacra Famiglia insieme ad altri Santi. E la devozione, unita all’innato senso di ospitalità salentino ed al desiderio di offrire il meglio ai propri commensali, fa’ si che ogni Tavola rappresenti al meglio la persona che la allestisce, non solo come padrona di casa ma anche come “donna di casa” e donna piena di fede.
Esistono ancora queste donne, che mettono nella preparazione delle Tavole la stessa cura e testimonianza di fede religiosa che in passato caratterizzava le donne della propria famiglia.
La signora Adele porta avanti, dopo sua mamma, il voto che in origine era stato della nonna:
“San Giuseppe, fa’ che mio figlio torni dalla guerra, anche senza gambe”
Un figlio tornato sulle sue gambe, una grazia ricevuta ed una gratitudine che sfida il tempo. Perchè fin da allora, dapprima per la nonna, poi per la mamma e negli ultimi 56 anni per la signora Adele i giorni che precedono il 19 marzo sono scanditi dai preparativi.
Sembrerebbe una cosa semplice, allestire una tavola per un pranzo. Ma, si è già detto, questo non è un pranzo qualunque.
Innanzitutto bisogna decidere quanti santi invitare. Rigorosamente in numero dispari, potranno essere tre, cinque, sette o tredici. La scelta può dipendere da fattori diversi, come il tipo di voto fatto, oppure a volte anche il fattore economico, che in passato poteva pesare enormemente sulle famiglie.
Per la famiglia della signora Adele, tranne la prima Tavola che fece la nonna per tutti e tredici i santi, la tradizione è sempre stata una Tavola per sette: la Sacra Famiglia, San Gioacchino, Sant’Anna, Santa Elisabetta e San Giovanni.
Secondo la tradizione ad impersonare i santi il padrone di casa sceglie delle persone, di solito parenti o amici, che continueranno a farlo negli anni a venire, salvo per loro espressa rinuncia, e che dovranno confessarsi il giorno prima del rito.
“Tanta fatìca, fija. E tanti soldi“
Pane di san Giuseppe
Una volta deciso il numero degli invitati, si decide se allestire una Tavola con del cibo cotto o un tipo di Tavola “misto”, cioè con alcuni cibi cotti ed altri crudi. Sicuramente un tempo, quando più famiglie vivevano sotto lo stesso tetto, le donne della casa erano in grado di condividere l’enorme mole di lavoro richiesta dalla preparazione e cottura delle enormi forme di pane a forma di tarallo, che per ogni personaggio richiedevano anche la preparazione con la pasta del pane di simboli diversi che contrassegnavano il santo a cui era destinata quella forma di pane (il bastone per San Giuseppe, il rosario e la corona per la Madonna, le tre sfere per il Bambinello, ed ancora la palma, la croce piccola, i “padrenostri”), dei ceci cotti nella pignata o con la massa, finocchi e cavolfiori, “lampasciuni”, pesce, la “frittura” col miele (carteddhrate e purceddhruzzi), baccalà ed altre pietanze tradizionali. La signora Adele non cucina più tutte le pietanze, perchè “troppa roba vaje minata“. Cucina alcuni piatti (lampasciuni lessi con aceto e olio, il pesce, la “frittura cullu mele”) e prepara a parte le offerte “crude” che i vari santi porteranno via una volta finito il rito: per ogni santo vi saranno 1kg di ceci, 3kg e 1/2 di pasta, 1kg di zucchero, 1kg di farina, 1 lt di olio, 1 confezione di tonno (in sostituzione del baccalà) 1 lt di vino e la enorme forma di pane (dal peso di 7 kg).
In più c’è da pensare anche ai visitatori. Ogni anno la signora Adele ordina circa 30kg di “pagnottine di san Giuseppe” da offrire a tutti coloro che passano a visitare la sua Tavola.
La signora Adele
Una volta preparato il cibo si passa ad allestire la Tavola. Le migliori tovaglie ricamate e tanti, tantissimi fiori, per cominciare. Una immagine di San Giuseppe viene posta a capotavola e viene circondata di fiori (“molti, molti fiori“). Davanti a san Giuseppe si pone la forma di pane che lo rappresenta ed ai suoi lati le forme di pane per la Madonna e gli altri santi. Il pane del Bambinello invece viene posto davanti a san Giuseppe, al centro della Tavola, e su ogni “foro” del pane viene messa una arancia. La Tavola viene a questo punto ultimata con le portate di cibo cotto e con il vino.
Tutto è pronto per la benedizione del prete, prevista per il 18 marzo, mentre il rito vero e proprio avrà luogo a mezzogiorno del 19, quando i commensali prenderanno posto a tavola (la signora Adele prepara un’altra tavola accanto a quella votiva, riflettendo come in uno specchio la Tavola principale e l’ordine in cui i santi sono disposti). L’intera durata del rito è scandito dalla recitazione di preghiere. San Giuseppe batte a terra con il bastone per dare inizio al pranzo, che viene servito dalla padrona di casa. Si inizia con i lampascioni seguiti dal pesce e dalla frittura con il miele, per concludersi con il finocchio e con il vino. Ad ogni pietanza dopo tre assaggi San Giuseppe “tuzza il piatto” tre volte con la forchetta, e gli altri santi devono immediatamente smettere di mangiare ed aspettare la portata successiva. Terminato il pranzo vengono recitati un “eterno riposo” e la “preghiera di san giuseppe”, e gli ospiti si congedano, portando con sé i doni offerti dalla padrona di casa.
Un altro anno è passato. San Giuseppe te l’aggia ‘nsettu.