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Questa che vi racconto è una storia vecchia, risale al 2002. Credo vi possa piacere perché ha un che di tragicomico. Tutte le storie migliori sono drammatiche.
Prendete il cinema. Prendete la letteratura. Prendete la musica.
Le storie happy end invece vanno bene in tv in prima serata per le famiglie, vanno bene per i popcorn e la Coca Cola, il giorno dopo si sono già dimenticate. Che qualcuno mi racconti ora la trama di “Herby il Maggiolino matto”.
Pare che all'umanità, me compreso, piaccia prenderlo in quel posto però in maniera grandiosa creandoci un contesto epico e drammatico con tanto di colonna sonora e primi piani sui nostri volti sofferenti perché la gente possa meglio compiangerci.
Io andavo davvero forte in questa pratica negli anni novanta.
Questa che vi racconto non è nemmeno una delle storie più tragiche che mi siano capitate, solo che ha lo sfondo norvegese. E in questo blog si parla principalmente di Norvegia.
La mia prima esperienza norvegese risale dunque all'estate 2002.
Alloggiavo presso la casa di una signora (amica di mia madre) che viveva ad Oslo. Vicino a lei vive suo fratello con la moglie e cinque figli. All'epoca del mio arrivo papà, mamma e figli maschi erano in vacanza in Portogallo.
Mi accolsero le due ragazze: una biondina cicciotella e l'altra, Ingrid, un'adorabile morettina fatta di aggraziatissime curve e una faccina pulita da elfo. Le due mi fecero vedere quella che sarebbe diventata per qualche mese la mia casa e poi anche quella dove vivevano loro. Erano davvero gentili e ben disposte.
Nella mia ignoranza riecheggiavano tutti quei racconti unti dei compagni di classe che descrivevano la scandinavia come l'isola delle sirene. Non ne trovi una brutta, oh! non ne trovi una brutta! Te la danno, te la danno come il pane. E avanti.
Belle ragazze, dunque, belle e facili. E Ingrid che cos'era? Una bella ragazza che ha vissuto in un paesino di poche anime, di gusti semplici perché non educata alle arti e alla filosofia, che avrebbe potuto vedere in me la svolta della sua vita. Eh sì, perché io studiavo nella prestigiosa Università degli Studi di Padova, ero stato volontario del USDA Forest Service americano (la cosa, se ben raccontata, si poteva spacciare come “ho lavorato per il governo degli Stati Uniti”), andavo forte con la bicicletta da corsa, una rivista aveva pubblicato alcuni miei racconti. E poi avevo una felpa e dei pantaloni nuovi.
Mi ero quindi ripromesso alla prima occasione di farglielo presente alla bella campagnola nordica così non si innamorava, si stordiva proprio. E poi facile com'era come tutte le nordiche puoi immaginarti il resto.
Specifico che le due sorelle dopo il meraviglioso benvenuto non sono più venute a farmi visita, però nella loro casa c'era un computer connesso ad internet.
Così un sabato, con la scusa di mandare una mail, ho cominciato quella che apparentemente sarebbe dovuta essere un'innocente conversazione per impressionarla. (Continua)
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