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La trama (con parole mie): Manny, detenuto in una prigione di massima sicurezza nel cuore dell'Alaska, esce dall'isolamento in cui era stato confinato dal direttore del penitenziario Ranken deciso a sfidare di nuovo l'autorità e tentare la fuga con il vecchio amico Jonah.Quando quest'ultimo si ritira dall'impresa, il suo posto viene preso dal giovane Buck, pronto a tutto pur di condividere l'avventura con una leggenda come Manny: giunti all'esterno del perimetro del carcere, però, i due fuggitivi si troveranno imprigionati a bordo di un treno rimasto senza conducente lanciato senza controllo, senza sapere come fermare il convoglio e turbati dal dubbio che le Ferrovie possano decidere, per evitare danni a centri abitati e persone, di guidarlo lungo una linea morta.Il tutto senza contare Ranken, lanciato in una febbrile ricerca dei due evasi.
Esistono alcuni film in grado - a prescindere dai presupposti, dall'età e dall'attualità del prodotto così come dalla generazione dello spettatore - di inchiodare alla poltrona neanche si fosse appesi ad un filo, ansiosi di scoprire a cosa porterà la conclusione della storia come se la stessa ci coinvolgesse in prima persona: A trenta secondi dalla fine è sicuramente parte della categoria.Ispirato da un'idea di Akira Kurosawa - certo non uno qualsiasi - e sceneggiato, tra gli altri, da Edward Bunker - che compare nel ruolo del vecchio Jonah e porta in dote per un ruolo ancora assolutamente marginale un giovane Danny Trejo, suo amico dai tempi della prigione -, questo solidissimo action carcerario resiste agli attacchi del tempo e, neanche fosse una vera e propria tragedia shakespeariana - dalla splendida citazione conclusiva al rapporto tra Buck e Manny - spinge dal principio fino in fondo sull'acceleratore, appoggiandosi ad un'interpretazione di rara potenza di Jon Voight, in grado di dare cuore ed una fisicità prorompente al suddetto Manny, uomo in lotta contro l'autorità ed il mondo e per nulla disposto a compromessi, di qualunque genere essi siano.Ispirazione di pellicole decisamente meno riuscite - ricordate Unstoppable, bottigliato selvaggiamente da me e Cybsix qualche tempo fa? -, questo lavoro di Konchalovskiy - regista fin troppo sottovalutato - si presenta da subito come un action nel classico stile seventies, decennio che vide anche un genere tendenzialmente tamarro e privo di pretese assumere connotazioni sociali e di spessore come sempre più raramente si potrà vedere nei decenni successivi: in questo senso, il tocco di Bunker nello script si sente a fondo, legato profondamente alle due figure dei fuggitivi - in Manny troviamo tutta la rabbia del detenuto in guerra contro la società che lo ha spinto ai suoi margini classificandolo come una belva, mentre in Buck le speranze di un giovane criminale che ha ancora il futuro dalla sua parte - e al loro specchiarsi nel personaggio di Sara, la donna che condividerà il loro destino nel convoglio che pare destinato a portarli inesorabilmente alla morte.
Interessante, in questo senso, l'elemento scatenato dalla donna - così come dal direttore del carcere - e legato alla natura di bestie affibbiata agli evasi che, oltre ad una lotta strenua per la sopravvivenza, paiono combattere anche - soprattutto? - per gridare al mondo il loro essere uomini, a prescindere dalla storia e dalla violenza che li hanno portati dove si trovano.
La figura di Ranken, ottimo antagonista - ho trovato numerose affinità con lo sceriffo persecutore di Rambo nel primo film dedicato al reduce del Vietnam interpretato da Sly - funge da catalizzatore per questa battaglia, accendendo il fuoco che la già citata Sara tenta faticosamente di domare anche nei momenti in cui la scintilla si accende tra i due fuggiaschi, ed il confronto finale tra il direttore ed uno straripante Manny - da brividi la sequenza della sfida al suo inseguitore conclusa con il raggiungimento della locomotiva - ha tutto il sapore della grande epica, pur se arrangiata per un contesto che di glorioso ed altisonante ha davvero poco, e trova al contrario il suo senso nella miseria umana e nel prezzo da pagare per una sopravvivenza che va guadagnata ogni giorno, dentro e fuori dalle mura di un carcere.
MrFord
"San Quentin, what good do you think you do?
Do you think that I'll be different when you're through?
You bend my heart and mind and you warp my soul,
your stone walls turn my blood a little cold."
Johnny Cash - "San Quentin" -
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