Diciamo che me lo sono meritato, mi sono lasciata andare alla pigrizia, ho continuato a leggere gialli scriteriatamente e mi sono imbattuta nel libro più inutile e scemo che abbia letto negli ultimi anni. Barcellona intorno all'inizio del millenio, prima dell'introduzione dell'euro: Pablo è figlio di famiglia ricchissima ma vive come un disgraziato, o almeno vuole farcelo credere ma in realtà abita in un appartamento di proprietà del padre, pesa centoventi chili, ha un ruolo nell'impresa di famiglia che è una sinecura, passa il tempo a bere, farsi di tutto quello che trova, scopare esclusivamente con puttane, dormire tutto il giorno e andare in giro la notte, e (!!!) chattare di filosofia con amici internazionali. Ha girato il mondo e adesso gira a vuoto. Difficile immaginare un personaggio più finto, uno che le spara grosse per far credere di essere brutto sporco e cattivo ma non ci riesce neanche un po'. E dovrebbe far ridere, essere spiritosissimo, ma la risposta alle sue iperboliche sparate in piemontese sarebbe una sola, piuttosto grezza: gatiime l'ala, fammi il solletico sull'ala, di cui propongo l'acronimo gla, da opporre al bennoto lol per indicare che qualcuno ci prova a a fare dello spirito ma non ce la fa proprio. Suo fratello, che è tutto il contrario, serio, ricco, fighetto, rangé, lo coinvolge in un confuso intrigo di cui non si capisce bene in che cosa consista. Per i tre quarti del romanzo non si riesce a capire dove stia il problema mentre nell'ultima parte l'attenzione ormai vaga per i sentieri del cielo, tanto è insensato e campato in aria il finale. Lungo, stralungo per quel che vale, è quel tipo di libro che fa rivalutare la televisione e dubitare che la lettura sia sempre un'attività lodevole e proficua. E poi, in quanto lettori abbiamo anche noi una dignità, non possiamo berci qualsiasi cosa ci venga propinato. Traduzione di Tiziana Gibilisco.
Magazine Cultura
A tutto c'è un limite: Pablo Tusset, Il meglio che possa capitare a una brioche
Creato il 21 novembre 2014 da Consolata @consolanza
Diciamo che me lo sono meritato, mi sono lasciata andare alla pigrizia, ho continuato a leggere gialli scriteriatamente e mi sono imbattuta nel libro più inutile e scemo che abbia letto negli ultimi anni. Barcellona intorno all'inizio del millenio, prima dell'introduzione dell'euro: Pablo è figlio di famiglia ricchissima ma vive come un disgraziato, o almeno vuole farcelo credere ma in realtà abita in un appartamento di proprietà del padre, pesa centoventi chili, ha un ruolo nell'impresa di famiglia che è una sinecura, passa il tempo a bere, farsi di tutto quello che trova, scopare esclusivamente con puttane, dormire tutto il giorno e andare in giro la notte, e (!!!) chattare di filosofia con amici internazionali. Ha girato il mondo e adesso gira a vuoto. Difficile immaginare un personaggio più finto, uno che le spara grosse per far credere di essere brutto sporco e cattivo ma non ci riesce neanche un po'. E dovrebbe far ridere, essere spiritosissimo, ma la risposta alle sue iperboliche sparate in piemontese sarebbe una sola, piuttosto grezza: gatiime l'ala, fammi il solletico sull'ala, di cui propongo l'acronimo gla, da opporre al bennoto lol per indicare che qualcuno ci prova a a fare dello spirito ma non ce la fa proprio. Suo fratello, che è tutto il contrario, serio, ricco, fighetto, rangé, lo coinvolge in un confuso intrigo di cui non si capisce bene in che cosa consista. Per i tre quarti del romanzo non si riesce a capire dove stia il problema mentre nell'ultima parte l'attenzione ormai vaga per i sentieri del cielo, tanto è insensato e campato in aria il finale. Lungo, stralungo per quel che vale, è quel tipo di libro che fa rivalutare la televisione e dubitare che la lettura sia sempre un'attività lodevole e proficua. E poi, in quanto lettori abbiamo anche noi una dignità, non possiamo berci qualsiasi cosa ci venga propinato. Traduzione di Tiziana Gibilisco.
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