Il castello dell’innominato era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di tane e precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. Quella che guarda la valle è la sola praticabile;un pendio piuttosto erto,ma uguale e continuato;a prati in alto;nelle falde a campi,sparsi qua e là di casucce. Il fondo è un letto di ciottoloni, dove scorre un rigagnolo o torrentaccio, secondo la stagione:allora serviva di confine ai due stati. I gioghi opposti,che formano, per dir cosi’ , l’altra parete della valle,hanno anch’essi un po’ di falda coltivata; il resto è schegge e macigni, erte ripide, senza strada e nude, meno qualche cespuglio ne’ fessi e sui ciglioni.
Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno sopra di sé, né piu’ in alto.
Dando un’occhiata in giro, scorreva tutto quel recinto, i pendii, il fondo, le strade praticate là dentro. Quella che a gomiti e a giravolte, saliva al terribile domicilio, si spiegava davanti a chi guardasse di lassu’, come ad un nastro serpeggiante; dalle finestre , dalle feritoie, poteva il signore contare a suo bell’agio i passi di chi veniva, e spianargli l’arme contro, cento volte.
E anche d’una grossa compagnia, avrebbe potuto, con quella guarnigione di bravi che teneva lassu’, stenderne sul sentiero, o farne ruzzolare al fondo parecchi, prima che uno arrivasse a toccar la cima. Del resto, non che lassu’, ma neppure nella valle, e neppure di passaggio, non ardiva metter piede nessuno che non fosse ben visto dal padrone del castello.
Il birro poi che vi si fosse lasciato vedere, sarebbe stato trattato come una spia nemica che venga colta in un accampamento. Si raccontavano le storie tragiche degli ultimi che avevano voluto tentar l’impresa; ma eran già storie antiche; e nessuno de’ giovani si rammentava d’aver veduto nella valle uno di quella razza, né vivo, né morto.
Alessandro Manzoni, "I promessi sposi" Capitolo XX°. Fabio Viganò.
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