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A volte la ruota compie un giro completo

Creato il 10 maggio 2012 da Pim

A volte la ruota compie un giro completoA volte la ruota compie un giro completo prima di fermarsi. Magari occorre un lungo periodo per la rivoluzione, così lungo che possiamo dimenticare da dove era partita. Nel momento in cui si ferma, però, abbiamo la percezione del tempo e dello spazio percorso. Era di maggio, sei anni fa, camminavo per via Po contornato da un manipolo di gente festante, bandiere in mano e sciarpe al collo. Nel centro della carreggiata il pullman della Juventus, i giocatori festeggiavano lo scudetto dal tetto scoperto tra musica e coriandoli. Non mi convinceva quel giro d’onore, in sottofondo si udiva un borborigmo cavernoso che cresceva d’intensità. Tra poco avrebbe sconvolto la logica degli eventi. Calciopoli, cosiddetta. Scudetto revocato, il baratro della retrocessione – addirittura in serie C, qualcuno presentiva. Fu poi soltanto la B, con nove punti di penalizzazione per soprammercato, ma l’onta era grande. Mai nella storia. Qualcuno se ne andò di filato. Il mister Capello, alla volta della verde Hampstead – chiamalo scemo. Quindi Ibra, il mercenario, i colossi di centrocampo Emerson e Vieira,. Infine Zambrotta e, ultimo smacco, Fabio Cannavaro.

Sembra incredibile, ma non bastò un Mondiale conquistato con tenacia in terra tedesca, no. A settembre l’esordio nell’anonimato tra i cadetti contro il Rimini rappresentò una botta dura, soprattutto in previsione del purgatorio da riscattare. C’era però anche chi aveva stretto i denti ed era restato. Gigi Buffon sarebbe potuto andare a svernare ovunque e profumatamente retribuito – Spagna, Inghilterra –, invece eccolo tra i pali come sempre, persino sui campetti spelati della periferia italica. E con lui Camoranesi, il grugno ancora più torvo, l’olimpico David Trézéguet lì davanti a far carambole. Ma soprattutto Alex Del Piero, capitano coraggioso, nella buona come nella cattiva sorte, con un sorriso appena più tirato del solito. Fu un momento strano: ingrato, umiliante, eppure avvincente. A Treviso come a Frosinone, a Leffe come a Crotone, sugli spalti gremiti all’inverosimile la gente si accalcava intorno al recinto di gioco per vedere i giocatori fin nel bianconero degli occhi. Manco fosse Manchester, Berlino o Madrid. No, non era l’atteggiamento di chi spia con curiosità malsana la nobile decaduta, o peggio se ne fa beffe. Si trattava della passione autentica di chi sa che si trattava di un’occasione irregolare che non si sarebbe ripetuta presto, quella di ammirare i campioni dei sette mari abbeverarsi alla fontanella sotto casa.

La scontata promozione non segnò un ritorno facile ai vertici. La squadra pareva essersi smarrita: scelte societarie malcalcolate, altre finanche sbagliate, innesti dal rendimento discontinuo, confusione tecnicotattica, allenatori fagocitati – compresi Deschamps e Ferrara, due cresciuti nell’orto domestico. Ma sul terreno di gioco, pur nel disorientamento spaziotemporale, nei risultati mancati, affondavano le loro radici Buffon e Del Piero, e i giovani intorno crescevano, finivano per convincere. Chiellini primo su tutti.

La sterzata arrivò l’estate scorsa: si capì all'istante, nel momento in cui il nuovo antico timoniere Conte strinse i pugni e cominciò a incitare i suoi. Lavoro, applicazione, carattere, fiducia nei propri mezzi. La squadra smise a poco a poco di traccheggiare e prese ad andare via rapida, ranghi serrati; la palla tornò a correre sulle zolle, le casacche bicromate a spostare in alto il baricentro, il gioco a farsi organizzato come da lustri non si vedeva. Pirlo, Vidal e Marchisio la colonna vertebrale, alle spalle la difesa meno battuta del campionato. E zero sconfitte, record assoluto. I tifosi mnemonici cominciarono con i paragoni: Conte come il maestro Lippi, come Guardiola, persino come Sacchi (maddài). Quelli più scafati invece andarono indietro alla grande Juve del Trap: non il parterre de Roi Michel, ma prima, fine anni ’70, lo scudetto dei 51 punti su 60, una squadra rullo compressore, spalle d’acciaio e polmoni da palombaro. Giorno dopo giorno affiorava il volontà di chi conosce i propri limiti ma ci lavora su con coscienza e dedizione, fino a perderci il fiato. Soprattutto si liberava sempre più consapevole l’orgoglio di chi sa di aver passato la nottata. Era ora di smettere di guardare la classifica dal basso verso l’alto e prendersi ciò per cui si era faticato. Così, dopo quell’estate del 2006, dopo una retrocessione e altre sventure, un tempo assurdamente lungo da digerire, la ruota ha fatto un giro completo e si è fermata infine sulla casella vincente.


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