A volte le magie succedono… (parte 2)

Da Snake788

- … per andare a vederlo da un’altra parte! -

Melzo è una piccola cittadina nella sconfinata periferia di Milano. Ha una manciata di abitanti in un gruppo di case, una ferrovia che la spacca in due e una vecchia storia medioevale.
Faceva freddo anche lì e il sole lentamente se ne stava andando, oscurando tutto. Il pullman ci lasciò in strada. Apparentemente quel posto aveva qualcosa di familiare, ma tralasciai i miei pensieri.
- Siamo arrivati! – disse lei.
Eravamo di fronte un modesto palazzetto. Aveva la forma di una cupola o quasi. Su un lato, una grossa insegna multicolore: Arcadia.
Era un cinema. Un posto così semplice dove tenere coppiette vanno a passare qualche ora spensierata. Non avrei mai pensato che quello fosse stato il luogo dove si sarebbe avverato un mio desiderio.
Ci avvicinammo. La mia curiosità cresceva allo stesso ritmo della mia impazienza. Mi fermai un attimo davanti alla vetrina che racchiudeva un poster. “Ligabue – Campovolo – il Film 3d”
Quel giorno, non avevo programmato di vedere quel film, ma lei mi ci trascinò con tutte le sue forze.
E’ delizioso avere qualcuno che riesce a penetrare la tua corazza, guardarti dentro, e scavare nei tuoi desideri più intimi. Oltretutto Francesca non ammirava Ligabue come me. Non aveva motivo di essere lì, se non per me. Eppure aveva fatto di tutto per portamici, per recuperare due biglietti introvabili, per permettermi di vederlo e regalarmi un sogno.
Ancora non credevo a quello che stava per succedere.
Eravamo in un corridoio. Il cinema si stava riempendo pian piano. In mano avevo i nostri due biglietti. Posti 7 e 8. C’erano capitati i nostri numeri fortunati. Che bizzarra coincidenza.
Adoro le coincidenze ma al loro succedersi il mio istinto va in allarme… e non riesco mai a capire se in bene o in male.
- Che hai? – mi chiese, osservando il mio volto che appariva triste.
- Niente… sono agitato… teso… emozionato… incredulo… non so che dire… –
Sorrise e mi strinse la mano. Cercò di comprendere il mio silenzio. Avevo un mondo all’interno che si stava scontrando con un altro. Due forze contrastanti, una fatta di ricordi, e una di presente. Sentivo gli stessi sentimenti di dieci anni fa. Quando ascoltai per la prima volta una canzone di Ligabue sul mio pc. Era Certe notti. Me ne innamorai subito. E da lì, la rapida ascesa: il primo cd… la prima maglietta… il primo concerto. Fu proprio Campovolo nel 2005. Il 10 settembre del 2005. Lo amavo talmente tanto che mi ci fiondai senza se e senza ma, col mio giubbotto di pelle e la mia monospalla, qualche amico fidato, una botta di vita e un viaggio di 10 ore.

Aspettavo seduto in quel corridoio. Sentivo l’ansia crescere, quella violenta che ti scava dentro, quella che prende il respiro, quella che aspetta la gioia, che forse arriverà. Guardai di nuovo i miei biglietti e con loro le mie gambe in un pantalone grigio.
- Sto sognando? – le chiesi.
- No… scemo… andiamo… mettiamoci in fila che tra poco si entra in sala! -

Sala Energia

Dall’esterno non sembrava che questo palazzetto potesse contenere una sala così grande. La platea da sola era uno spettacolo. Una specie di anfiteatro con poltroncine blu, rivolte tutte verso lo tesso punto.
Al centro di un’enorme parete, un immenso schermo. Il più grande che abbiamo mai visto in vita mia. Spettacolare. Rimasi affascinato a guardare quella scena, per gustarmi i dettagli, mentre la sala si riempiva. Francesca prendeva i posti e poggiava le cose.
- Se vuoi ci mettiamo lì, in piedi in fondo alla scala. Saremo più vicini. –
Alla parola “vicino” il mio cuore ebbe un sussulto. Mi ero quasi dimenticato che non era un sogno, era tutto vero quello che stava per succedere. Scesi lentamente ogni gradino. Mi appiattii alla parete. Altri ragazzi ebbero la stessa idea e per una volta nella vita, invidiai quelli che erano seduti in prima fila. Fissavo il centro del palco. Illuminato da un’unica luce. Quasi come se Dio stesse per scendere in scena.
La sala era piena. Un vociare scomposto di sottofondo fatto di anime che si scambiavano esperienze e opinioni, contrastava col mio silenzio. L’ansia si fece più forte. La mente non aspettava altro. Il cuore pompava ritmi sconosciuti. Gli occhi non sapevano più dove guardare.
Improvvisamente, le porte si aprirono. Dal fondo comparve un gruppetto di uomini capitanati da Claudio Maioli, il manager e amico stretto di Ligabue. Scesero lungo la scala. La stessa scala al cui termine c’ero io. I ragazzi si scansarono educatamente. Maioli guardava i gradini per non inciampare nella penombra. Una ragazza gli toccò un piede e si scusò.
- Niente… non si vede un cazzo qui! – Rispose Maioli.
Sorrisi mentre mi passò accanto. Il suo solito caratteraccio. Pensai.
Si disposero al centro sotto la luce. Dietro di loro, il maxischermo ancora bianco.
Con le orecchie li sentivo parlare, ma il mio cervello non memorizzò niente delle loro parole. La mia mente era impegnata a capire da dove sarebbe entrato Lui… da dove sarebbe sceso… e se fosse passato davanti a me.
Grida confuse. Maioli dice al microfono “Entra Luciano!” e dopo qualche secondo Luciano entrò. Alzai la testa, sgranai gli occhi ma non riuscivo a vederlo. Una massa di ragazzi e ragazze gli fu addosso. Era lontano da me. Stava scendendo lentamente dalla scala a destra. I fans non lo lasciavano andare. La maschera intervenne e calmò la folla. Lo vidi. Era a 10 metri da me. Lo spazio di una strada in pratica. Come se Ligabue fosse dall’altro lato del marciapiede… ed io volevo tanto attraversarla quella strada.
Era sotto la luce. I suoi capelli si tinsero di chiaro.
- Ben arrivati! – disse, e la folla esplose.
- … ho voluto presentare il mio film qui, all’Arcadia di Melzo, nella sala Energia. Perché qui c’è uno dei più grandi schemi 3d italiani e spero che il film si veda bene! –
Ligabue parlava al microfono. Presentava il film. Lo fissavo così intontito e la mente era un guazzabuglio di parole, di sue parole. A ogni sillaba che pronunciava, cercavo di avvicinarmi lentamente insieme ad altri colleghi.
I piedi mi tremavano e la Maschera già ci guardava in malo modo. Gettai la mia educazione in qualche angolo recondito del corpo e feci finta di non vedere i rimproveri velati.
Luciano ringraziò il pubblico e lasciò il microfono. Tutti i ragazzi, come girasoli attirati dalla luce, gli furono vicino. Crearono uno scudo tra lui e l’aria. Non lo vedevo più e la mia coscienza strinò la mia esitazione.
“Che fai lì, corri! Vai da Lui!”
In un attimo gli fui vicino. A meno di un metro. Vedevo la sua faccia grazie alla mia altezza, ma lo scudo di persone non mi permetteva di avvicinarmi. Stava risalendo le scale centrali. Si allontanava. Tesi un braccio. Ero a dieci centimetri. Il mio indice cercava di sfiorarlo. Non ci riuscivo. La folla era troppa. Pregai di avere le braccia più lunghe in quel momento. Salii sulle punte dei piedi. I muscoli erano tesi allo spasmo. Chiusi gli occhi. Dovevo riuscirci, dovevo riuscire a toccarlo almeno per un istante. Volevo un briciolo di sogno. Volevo sentire sotto le mie dita un pizzico di quel cantante. Non potevo lasciarlo andare. Me ne sarei pentito per una vita intera. Era lì… a un palmo da me.
Saltai sulle mie punte…
Gli sfiorai la spalla…
Se ne andò…
Incredulo e pensoso, restai imbambolato per alcuni minuti al centro del palco. Sotto la stessa luce che lo aveva inondato, ora illuminava me.
Trattenevo le lacrime mentre mi allontanavo. Cercavo di avere un aspetto normale. Di lì a poco sarebbe iniziato il film e lì ancora altre emozioni. A bordo scala lo guardai andar via lentamente. Quel cantate che mi aveva cresciuto. Stranamente non vidi le porte aprirsi. Ligabue stava temporeggiando a circa metà della sala. Parlava con Maioli. Cercai di capire cosa stesse facendo e quando mi fu chiaro, restai a bocca aperta dall’incredibile sorpresa.

“No… non posso crederci… non puoi far questo!”


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