Il Centro Sport Palladio di Vicenza non è nuovo a campagne pubblicitarie dal sapore razzista, come bene aveva scritto Mary qui.
Mai ci saremmo aspettate, però, la riproposizione delle medesime immagini a soli sei mesi di distanza dall’orda di proteste che hanno fatto seguito alla diffusione dei primi manifesti. Non ci si dovrebbe sorprendere mai di niente.
I protagonisti della campagna pubblicitaria sono gli stessi: un uomo dalla carnagione mediorientale e una bellissima donna dall’aspetto caucasico. I tratti somatici di lui sono volutamente stati deformati e resi orripilanti: pelle rugosa e butterata, esoftalmo, bocca enorme e spalancata a mostrare due file di denti rovinati. L’espressione appare sciocca e fatua. Veste un completo elegante, nonostante sia impegnato a eseguire delle flessioni, il che trasmette all’osservatore una sensazione di ridicolo. Lei è la classica bonona stereotipata da pubblicità: fisico scolpito, chioma fluente, sorriso smagliante e via risplendendo. Al pari di lui, sta effettuando delle flessioni, ma il suo look è adeguato per l’attività fisica che sta svolgendo. Tutto, dall’aspetto fisico all’abbigliamento, sembra sottendere la superiorità della donna caucasica sull’uomo straniero, ed è questo che rende profondamente razzista la pubblicità. La posa di lei è identica a quella di sei mesi fa. Lui, invece, rispetto alle precedenti immagini, è stato convinto a iniziare a praticare attività fisica. E da che cosa sarebbe stato convinto? L’immagine suggerisce come la molla possa essere stata la continua vista di un corpo bello e tonico come quello della ragazza, vista che avrebbe scatenato in lui il desiderio di raggiungere un’altrettanto perfetta forma fisica, metafora del desiderio di appartenenza al gruppo sociale, razziale e culturale “giusto”. Della serie: “se anche un selvaggio come il tizio della foto l’ha capita che per essere fighi bisogna iscriversi al Centro Sport Palladio, vuoi non capirlo anche tu??”.
Molto inquietante è anche il “to be continued” stampato in basso: implica forse che ci dovremo sorbire a breve nuove puntate della saga del selvaggio e della gnocca? Non sto nella pelle. Lasciatemi indovinare: nel prossimo episodio il protagonista si sarà costruito un fisico da palestrato, si sarà fatto schiarire i capelli da Franck Provost e la carnagione dal chirurgo di Michael Jackson, avrà speso miliardi dal dentista per farsi sistemare i denti e avrà risolto i suoi problemi di esoftalmo con l’aiuto di un bravo endocrinologo. E, ovviamente, si starà godendo i risultati di tanta fatica (e tanta spesa!) attorniato da un nugulo di belle ragazze in succinti completini da palestra, tra le quali spiccherà -in segno di eterna riconoscenza per avergli indicato la giusta strada da seguire- la protagonista degli altri manifesti. In altre parole, si sarà perfettamente uniformato al modello vincente del maschio occidentale. Se ho azzeccato, voglio essere assunta al Centro Sport Palladio come creativa pubblicitaria.
NB: La rappresentazione dei neri come soggetti culturalmente e intellettualmente inferiori ha radici molto profonde, e in Italia ha avuto il suo apogeo durante il periodo di espansione coloniale fascista. Essi venivano descritti dalla propaganda del regime mediante aggettivi che rimandavano a caratteristiche considerate intrinsecamente femminili, col duplice intento di rafforzare l’identità virile del maschio italico e stabilire in maniera incontestabile l’organizzazione gerarchica della colonia (gli italiani, maschi, ai vertici del potere, i locali, effemminati, sottomessi). I colonizzatori venivano definiti “conquistatori”, a far sognare la possibilità di un doppio, ricco bottino: la terra -vergine, feconda, da penetrare, altre caratteristiche considerate femminili- e le donne.