Riporto una frase di Kurt Vonnegut Jr estratta da un tributo ad Allen Ginsberg: “Ad essere sinceri dobbiamo ammettere che la poesia più grande soddisfa pochi profondi appetiti nei tempi moderni”. Ci rifletto su, come mi capita spesso, quando isolo un pensiero, una frase, in un contesto più grande, che però mi aiuta a comprendere il senso di qualcos’altro. Quali sono quei pochi profondi appetiti che soddisfa la grande poesia? A me pare che la poesia, più che soddisfare appetiti, apra piuttosto voragini di fame nei ventri umani che ne fanno uso. Io perlomeno la penso così. Riflettevo pocanzi su qualcosa di cui mi sono reso conto solo ieri. Nel mio quartiere ci sono due piccoli giardini attrezzati con giochi per bambini, recinzioni, panchine, ghiaino e tutto l’occorrente per trascorrere un’ora in santa pace fuori dal circolo vizioso del traffico. Due piccoli ghetti di città. Uno dei due, tuttavia, è più ghetto dell’altro. Uno dei due è frequentato dalla buona borghesia del quartiere che alle sei del pomeriggio porta i propri figli a pascolare in un rutilante sfoggio di griffe e di ritocchi estetici. Nell’altro ci vanno le servitù asiatiche con prole. I due mondi non si combinano mai, neppure per errore. Ognuno nel quartiere sa qual è il posto che gli spetta per diritto di nascita. Si tratta di una discreta e moderna forma di apartheid di cui non si occuperà la grande poesia contemporanea. Uno dei più smaniosi appetiti dei tempi moderni è quello di marcare la differenza sociale, di mostrare la propria attitudine e inclinazione allo schiavismo. La poesia più grande dovrebbe entrare in questi mondi, denunciarli, svelarli, farli a pezzi, poiché quando le storture diventano convenzioni il genere umano è a rischio di catastrofi.
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