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AAA autori cercasi: astenersi migranti, no anonimi

Creato il 24 ottobre 2011 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Una delle soddisfazioni maggiori del nostro lavoro, per quanto effimera, è la stima che ci viene decretata dagli autori ai quali rispondiamo che le loro opere, per contenuti o per stile, non possono essere prese in considerazione per una pubblicazione. Molti, una volta ricevuta la notizia negativa, ci riscrivono ringraziandoci, perché, se non altro, siamo tra i pochi a rispondere alle proposte e a fornire un minimo di motivazione. A fronte dei tantissimi aspiranti scrittori che ci hanno ringraziato dopo la “bocciatura”, ve ne sono alcuni, ma che si contano davvero ulle dita di una mano, che non hanno accettato la valutazione e hanno polemizzato, anche con sgarbo. Volendo anche presumere (e noi dobbiamo farlo per forza) che la risposta fornita dalla nostra redazione fosse cortese e non dovesse dare adito a rimostranze, possiamo comunque concludere che abbiamo incontrato una percentuale di presuntuosi o maleducati infinitamente inferiore alla percenuale media che si ritrova nella vita di tutti i giorni. Il che può far pensare che la categoria degli aspiranti scrittori includa esemplari umanamente un po’ più sensibili e cortesi rispetto alla popolazione italiana nel suo insieme.
Fin qui tutto bene. E si tratta di questioni cui ho già fatto cenno altre volte. Quel che invece mi lascia un po’ sorpreso riguarda le proposte provenienti da una particolare categoria di autori.
Sono infatti arrivate in redazione, nel corso di un anno e passa, alcune proposte (in verità pochissime) avanzate da aspiranti autori italiani residenti all’estero: migranti in via definitiva o comunque per un tempo non breve, con il rientro in patria non ancora nei programmi futuri (o in programma di lì ad almeno un paio d’anni).
Nessuna delle proposte pervenuteci da questi autori era meritevole di pubblicazione: ora per scarsa attinenza tematica al nostro progetto editoriale, ora per una qualità discutibile. In ogni caso, dopo aver motivato la nostra scelta, la redazione si è permessa di spiegare a questi aspiranti autori che una piccola casa editrice non potrebbe mai pubblicare opere di un autore che risiede stabilmente all’estero, perché la presenza fisica dell’autore alle iniziative promozionali è essenziale e perché il legame con un territorio, o con una comunità, è ulteriore elemento di forza.
Puntualmente, tutti gli autori residenti all’estero cui abbiamo fatto presente questo problema, ci hanno risposto in tono molto piccato, sottolinenado che nulla avevano da eccepire sulla valutazione delle loro opere, ma che non dovevamo permetterci di porre in discussione delle scelte di vita personali.
Ora, è chiaro che la questione non dovrebbe essere posta in questi termini, salvo malintesi. Nessuno ha mai pensato di discutere le scelte di vita personali (magari a volte forzate dalle scarse opportunità offerte dal nostro paese, e perciò vissute con un disagio interiore che non predispone al dialogo; oppure rivendicate orgogliosamente come atti di coraggio compiuti da chi sente di avere la capacità di mettersi in gioco); però dovrebbe essere ovvio che, come sempre, compiere alcune scelte apre delle strade ma ne preclude altre.
Non sarà allora inutile provare a ricordare, a bocce ferme e senza che ci siano “casi personali” in questione, che per un piccolo editore è assolutamente impensabile fare a meno della presenza fisica e della fattiva collaborazione dell’autore al momento di promuovere un libro. Ed è il motivo per cui, allo stesso modo, non possono essere prese in considerazione le proposte editoriali di autori che, per varie e a volte comprensibili ragioni, pretendono di mantenere l’anonimato. Un autore che non esiste, o che non è presente, è per il piccolo editore un lusso insostenibile: pubblicarlo, vuol dire decretare il sicuro fallimento dell’opera, cosa che poi non può far piacere neppure all’autore stesso, come ovvio.
Peraltro, se fin qui ho parlato delle esigenze del piccolo editore, sarà bene ricordare anche che gli stessi editori medi o grandi prevedono, per gli autori da promuovere, stressanti tour in varie tappe e sedi, e che non ammettono latitanze o ritrosie. In effetti, se un autore anonimo o residente all’estero vede accettata una sua proposta, più che gioire ha di che preoccuparsi: perché vi potrà leggere il segnale inequivocabile di un libro (il suo) che viene pubblicato per fare volume di produzione, ma che non verrà promosso o sostenuto.
Esiste, in una mitologia arcaica che ogni tanto riaffora, l’ingenua convinzione che l’opera anonima o dell’autore invisibile sia destinata al successo per l’attrazione che eserciterebbe sui lettori quell’alone di mistero che la circonda. Ma si tratta, va detto con chiarezza, di pie e inopportune illusioni.
Probabilmente i casi che ho evocato, e che mi hanno spinto a questa ricapitolazione, sono solo il frutto di un pizzico di ignoranza circa quello che è oggi il mestiere dell’autore, coi suoi annessi e connessi.
Oppure, temo, sono la spia di una più diffusa sensazione: che quello dell’autore non sia un mestiere ma un’attività da esercitare a tempo perso, nei ritagli concessi da altre occupazioni, e per il quale non è richiesta la metodica e quotidiana fatica e tantomeno la presenza; una sorta di sport amatoriale nel quale si può eccellere senza sforzo e senza allenamento, limitandosi alla saltuaria esibizione. Ma, se così fosse, la cosa sarebbe ancora più grave.


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