Il 16 Gennaio 2014, il Sole 24ore in un articolo che riporta i punti fondamentali del rapporto McKinsey "Education to Employment" 2013, ci svela che il vantaggio competitivo in termini di occupazione per chi svolge uno stage post laurea è solo del 6%.
Ma per il mondo universitario non è una novità: le indagini del consorzio interuniversitario AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati 2012 e 2013 ci aveva già confermato un differenziale tra il 5.5 e il 6% per il laureati che decidono di fare un’esperienza di stage. Se però si prendono in considerazione i soli laureati che non lavoravano nel momento in cui hanno conseguito il titolo, il tasso di occupazione è pari al 62% tra quanti hanno concluso un tirocinio post-laurea, contro il 46% rilevato tra coloro che non vantano tale esperienza (+16 punti).
Quello che è certo è che lo stage è un'opportunità, quel che conta è giocarsela bene.
Troppo spesso ai ragazzi passa però il messaggio di una tappa dovuta della gavetta, il primo di una lunga serie di gradini da salire alla conquista di un posto in un'azienda, mentre dall’altra parte il 47% dei datori di lavoro dichiara di non trovare profili adeguati alle esigenze. Scegliere uno stage a caso solo per riempire il cv ha un notevole impatto sull'atteggiamento con il quale lo stagista gioca le sue carte: sul suo coinvolgimento, sul suo impegno, sulla fiducia che ha nel valore di quell’esperienza.
I feedback che ricevo dalle aziende alla conclusione degli stage sottolineano la mancanza di motivazione, di progettualità rispetto alla propria professionalità, oltre che l’ormai nota scarsità di competenza linguistica inglese dei nostri studenti. Molti sostengono di non avere grandi pretese sulla preparazione dei neolaureati che prende in stage: le persone si vedono sul campo, valutandone il carattere, la passione, l'impegno, il coinvolgimento in quel che fanno, la capacità di relazionarsi agli insiders e la creatività.
Queste cose non si imparano sui libri e sono quelle che fanno la differenza.
Pensare alla propria professione alla vigilia della laurea, quando si opta per uno stage, è troppo tardi: è necessario accompagnare lo studio con esperienze che permettano di sviluppare quelle che vengono definite competenze trasversali (o soft skills).
Come consulente di orientamento e career coach, sono convinta che si debba preparare i giovani al mondo del lavoro incoraggiandoli a lavorare su se stessi, a fare scelte consapevoli e focalizzate sui propri obiettivi, ed a finalizzare le proprie esperienze anche in ambito privato, sostenendoli nel mettere in atto comportamenti funzionali al raggiungimento di quegli obiettivi.
Lo stage è un ulteriore tassello che aggiungiamo agli altri per formare la nostra esperienza professionale.
Immaginate un puzzle: prima si cercano i pezzi che compongono la cornice, lavorando su se stessi, sulle attitudini, sulle aspirazioni, sulle motivazioni, su tutto quello per cui si è disposti a fare sacrifici e lavorare intensamente, poi man mano che si procede si definisce sempre di più l’immagine di ciò che si è e di ciò che si vuole essere.
Se tutto questo viene fatto prima della laurea, non avremo più neolaureati disorientati, in cerca di un’opportunità qualunque, ma giovani consapevoli con capacità, idee e motivazioni da vendere.
Adele Eberle – Professional Coach