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A.A.A. «Il Manifesto» Vendesi. Ma chi Vuole Comprarlo?

Creato il 11 dicembre 2012 da Pedroelrey

A.A.A. «Il Manifesto» vendesi, questo il titolo dell’annuncio pubblicato in prima pagina dal “quotidiano comunista” il 2 dicembre scorso che spiega come i commissari liquidatori abbiano avviato ufficialmente le procedure di cessione della testata invitando, entro il 17 dicembre, chiunque fosse interessato all’acquisto del Manifesto [oppure del 78,22% delle quote della manifesto spa] a presentare una proposta vincolante e irrevocabile presso uno studio notarile romano.

Notizia ripresa il giorno dopo con un breve trafiletto da pochi quotidiani nazionali e da alcune testate all digital, che invece avevano dato ampio spazio quando pochi giorni prima Rossana Rossanda aveva annunciato di voler lasciare definitivamente il giornale, forse convinti si trattasse soltanto di una “provocazione”.

Da informazioni assunte dal sottoscritto pare invece che non solo non si tratti di questo ma che ci siano almeno tre opzioni, tre possibili offerte per la testata.

AAA Il Manifesto Vendesi

Una prima opzione, nonostante la cortina di riservatezza al riguardo, pare essere quella della holding Mca dei tre fratelli Andrea, Stefano e Riccardo Mastagni la cui identità è stata in qualche modo resa pubblica all’assemblea del 4 novembre scorso.

Fratelli Mastagni che hanno interessi molto più vari e complessi della stampa di giornali [come proprietari del gruppo Seregni, una delle maggiori catene di tipografie in Italia che stampa il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport in alcune regioni, l’Unità, il Giornale, Il Foglio, Italia Oggi, Mf, Milano Finanza e altre testate] essendo, dal 2011, soci all’8% di «Prima Comunicazione» e co-fondatori di «Sardegna24», quotidiano sardo in breve tempo aperto e fallito.

Prima di dedicarsi all’editoria i fratelli Mastagni non hanno esattamente brillato neppure nelle precedenti esperienze. Infatti, come amministratori di fatto di tre aziende del mobile sono sotto processo a Udine per bancarotta fraudolenta e pare che in passato siano stati coinvolti in diverse inchieste penali che riguarderebbero inquinamento da fanghi industriali all’arsenico e al cadmio in Irpinia, truffa su contributi pubblici per la costruzione di uno stabilimento fantasma pure in Irpinia, e, ad adbundatiam, esportazione clandestina di armi agli inizi del 2000.

Un curriculum di tutto rispetto, si fa per dire, che certamente non è di buon auspicio nel caso effettivamente fossero loro gli acquirenti o, comunque i finanziatori del “nuovo Manifesto”.

Ancora più “segreto” il progetto di Emanuele Bevilacqua e Cesare Coppoli, ex amministratori del Manifesto. Dalle informazioni da me acqusite, si sa solo dal registro delle imprese che il 24 luglio 2012 è stata costituita la società “Finam Media srl”, con un capitale versato di 20.000 euro, con quote sottoscritte per 3.000 euro da Emanuele Bevilacqua, per 1.000 euro da Cesare Coppoli, e per 8.000 euro ciascuno da Guido Paolo Gamucci e Mario Cuccia, due uomini di finanza con molteplici esperienze nel settore dei fondi d’investimento chiusi [private equity] e diverse partecipazioni azionarie. Di loro non sono noti precedenti interessi o competenze nel mondo dell’editoria.

Esiste poi una terza ipotesi, quella che appare più sensata, di proprietà collettiva, di “riacquisto” della testata da parte della collettività di lettori, collaboratori e giornalisti che però, come emergeva anche da quanto scritto da Norma Rangeri e Angelo Mastrandrea, rispettivamente direttore e vice direttore attualmente del quotidiano, non sarebbe gradita dagli attuali vertici che non gradirebbero condizionamenti sulla linea editoriale da parte dei circoli del Manifesto. Uno scontro interno al giornale che sta provocando una forte spaccatura e che rischia di far naufragare quella che sarebbe l’opzione più naturale.

Il giornale, la cui valutazione si aggira intorno al milione di euro solo per la testata, attraverso l’opera dei circoli potrebbe probabilmente raccogliere 2000 sottoscrittori disposti in media a versare 500 euro anche se questo porrebbe inevitabilmente un problema di governabilità nella gestione del quotidiano a mio avviso.  Resta inoltre, soprattutto, da decidere il taglio da dare al giornale e le declinazioni online/digitali da implementare per, almeno, arrestare l’emorragia di vendite.

Certamente lanciare un nuovo prodotto/marchio è sempre un’operazione che nell’incertezza permanente risulta, a parità di condizione, più semplice di un rilancio, di una rivitalizzazione, quale quella che «Il Manifesto» necessita, però il traguardo, l’obiettivo non è irrealizzabile ma adesso il tempo stringe davvero, sperando che invece non sia già scaduto.

sostegno manifesto vauro modificato


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