A.A.A. Project: "Alienazione"

Da Massimo Silvano Galli @msgdixit
Dopo la fondamentale attenzione alla cura dell'Autonomia e dell'Amore quali elementi ineludibili di qualsivoglia percorso terapeutico, l'ultima categoria del nostro A.A.A. Project si concentra sulla dimensione dell'Alienazione, intendendo con questa nulla di negativo, ma un necessario processo che, certo, può avere risvolti negativi, ma che, proprio grazie alla cura terapeutica, può e deve assumere la sua valenza positiva e evolutiva, fornendo il proprio contributo al raggiungimento del benessere.
Per comprendere appieno tale valenza positiva e la necessità di un lavoro che si faccia carico di governare questo aspetto nel processo di cura, dobbiamo anzitutto rifarci alla lettura tradizionalmente negativa che ci restituisce l'idea di qualcosa di estraneo, altro da noi o, parimenti, qualcosa da allontanare, da cui prendere distanza.
Non a caso questo lemma è spesso utilizzato per indicare coloro che vivono ai margini o che esprimono comportamenti fuori dalla norma, ma ha anche un uso più generico teso comunque a segnalare un disagio, una non adeguatezza, in questo caso riferita all'uomo contemporaneo e il suo essersi estraniato dalla natura; per non parlare, infine, della sua valenza forse più estrema, quando cioè riferisce di creature talmente altre da non essere umane: gli alieni, appunto.
Potremmo dunque affermare che l'Alienazione è, anzitutto, il rischio reale che corre l'uomo contemporaneo di essere emarginato, allontanato, estraniato, addirittura non considerato umano o, al limite, considerato meno umano quando, per diversi motivi, mostra segnali di divergenza rispetto a una certa idea di "normalità" definita su base numerica rispetto a ciò che una certa maggioranza fa o pensa.
Non a caso il terribile aggettivo "minorato" (ahinoi non ancora del tutto debellato) ha in sé non solo il senso di una sottrazione da qualcosa che si presume maggiore, ma dice anche di qualcosa che è numericamente risibile rispetto ad una maggioranza che, solo perché tale, diviene di per sé il parametro con cui confrontarsi e a cui doversi adattare, pena -appunto- l'Alienazione.
La prima sfida della cura sta dunque tutta nella lotta (e chi conosce questo mondo sa che di vera lotta si tratta) per smarcare il soggetto in difficoltà da qualsivoglia intenzionalità alienatoria: da quelle più bonarie e a "fin di bene" a quelle più spietatamente avverse.
Si pensi, ad esempio (non ci stancheremo mai di ribadirlo) ai vari test di qualsivoglia rilevanza e indagine della funzionalità umana e alle varie diagnosi che ne discendono e che, proprio su base statistica (ovvero distinguendo una maggioranza di comportamenti "giusti" e adeguati da una minoranza di comportamenti "erronei" e alienati) traggono le loro conclusioni.
Insieme al lavoro di trasformazione dell'Alienazione che dia al soggetto la possibilità di viversi e essere vissuto non come persona fuori dalla norma, ma quale persona che, invece, racconta e rende opportuna un'altra norma (tanto più arricchente e importante quanto più estranea alle consuetudini della maggioranza); è necessario, altresì, intraprendere un percorso che restituisca al soggetto stesso questa accezione di sé.
Questa seconda fase della cura, afferisce sostanzialmente al concetto hegeliano di alienazione, ovvero, per dirla sinteticamente, all'idea che l'uomo sia sempre alienato fintanto che non riconosca se stesso in ciò che fa e produce.
In questo senso possiamo spiegare l'Alienazione come un fenomeno di estraniazione da noi stessi, da ciò che abbiamo in noi di più profondo; un'Alienazione che ha luogo quando gli oggetti che produciamo non ci corrispondono e noi non troviamo noi stessi in quegli oggetti.
Questo intendeva Karl Marx quando affermava che la divisione parcellizzata del lavoro industriale, insieme all'estraniazione dai mezzi di produzione, rendevano la classe operaia soggetta ad Alienazione, ossia a quel processo che estranea un essere umano da ciò che fa fino al punto da estraniarlo da se stesso.
C'era, forse, in Marx una riduttiva concezione del concetto di lavoro, senz'altro segnata dagli usi e dai costumi di un'epoca in cui il lavoro era pressoché totalizzante, ma se proviamo ad incollare la sua definizione ai soggetti che incontriamo in terapia, ci accorgiamo che questo è il vero altro rischio che corrono: essere estranei a ciò che fanno fino al punto da estraniarsi da se stessi.
Se ogni uomo è alienato laddove gli è impedito di riconoscerci nel prodotto del suo lavoro e intendiamo questo "lavoro" non solo quando è in fabbrica o simili, ma anche quando cucina una pastasciutta, quando va a fare la spesa, quando bada alla salute di sé e dei suoi cari, quando ama e sente il suo amore fecondo e corrisposto, allora scopriamo come il lavoro di cura dell'Alienazione sia profondamente interconnesso con quello sull'Autonomia e sull'Amore e, come questi, altrettanto irrinunciabile.
Massimo Silvano Galli

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