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Esiste davvero la sazietà?

Creato il 15 luglio 2013 da Sviluppofelice @sviluppofelice

supermercato1_ign-400x300di Marina Bianchi

 “Basta guardarsi intorno e osservare tutte le persone che fanno jogging o seguono una dieta per realizzare che, almeno rispetto ad alcuni bisogni, gran parte delle popolazioni dei paesi avanzati ha non solo raggiunto ma superato il punto di sazietà”. Cosi scriveva l’economista Tibor Scitovsky (1987, p. 97).

 Quasi sessanta anni prima, John Maynard Keynes aveva prefigurato un futuro non troppo lontano in cui il problema economico, la lotta per la sussistenza e i bisogni vitali, sarebbe stato risolto. A quel punto, la vera difficoltà sarebbe stata quella di scrollarsi di dosso le vecchie abitudini legate a quella lotta, ma Keynes era fiducioso che con il tempo e l’esperienza le generazioni future sarebbero state in grado di coltivare “l’arte della vita” piuttosto che vendersi per ottenere i “mezzi della vita” (Keynes 1930, p. 328).

 Analogamente, tanto Karl Marx [1845] quanto John Stuart Mill [1848] avevano immaginato un futuro in cui il progresso tecnico avrebbe reso accessibili all’umanità intera tutte le cose necessarie alla vita, liberandola da quei compiti alienanti che Adam Smith aveva associato alla divisione del lavoro, e aprendo la strada all’autonomo sviluppo individuale.

Non è difficile concordare con Scitovsky che questo futuro preconizzato da Marx, Mill, e Keynes, per molti paesi almeno, sia arrivato. Eppure il regno della vera ricchezza, quello del tempo libero e della libertà di perseguire “l’arte della vita” non sembra sia stato raggiunto. Come spiegare questo paradosso?

Una possibile risposta la troviamo nello stesso Keynes, il quale, come altri economisti prima di lui, aveva ipotizzato l’esistenza di bisogni che, indipendenti dai bisogni fisiologici, e legati piuttosto al bisogno di superiorità e di stato sociale, non sono mai saziabili. Il motivo di questa insaziabilità lo offre Fred Hirsch (1976). Nella competizione di stato sociale, argomenta Hirsch, al vantaggio relativo conquistato da qualcuno corrisponde inevitabilmente lo svantaggio relativo di qualcun altro, con il risultato che alla fine nessuno è vincitore. Solo la posta in gioco diviene sempre più alta.

 Ma vi sono anche altri bisogni insaziabili. Lo sottolinea Scitovsky [1976] quando discute della formazione delle abitudini e delle dipendenze. Una volta che un’abitudine si sia formata, infatti, sia il bisogno di compensare la progressiva perdita di piacere che l’assuefazione comporta sia il bisogno di evitare il dolore di abbandonare quell’abitudine incentivano una escalation del consumo legato a quei bisogni.

Secondo queste spiegazioni quindi l’economia continua a crescere, ma non la ricchezza vera, semplicemente perché alimentata da bisogni che non garantiscono alcun permanente vantaggio individuale o sociale.

 Ma è proprio così? È proprio vero che la non sazietà è legata a piaceri che alla lunga si autodistruggono? In realtà non è difficile pensare ad attività e beni che per la loro complessità e varietà hanno il potere di coinvolgere e rinnovarsi e che diventano quindi una fonte di piacere che dura nel tempo. Leggere un romanzo, ascoltare la musica, ma anche conversare, praticare uno sport, o la scienza, sono tutte attività e forme di consumo che Scitovsky definì creative [1976]. Esse sfidano la sazietà e al tempo stesso possono stimolare la domanda senza le perdite di benessere associate alle dipendenze o alla pura competizione di stato.

Eppure la potenziale varietà e capacità di coinvolgimento di queste attività non giunge senza sforzo, ma va scoperta e compresa. Esse richiedono conoscenza e abilità e soprattutto tempo (Bianchi 2008). Per questo motivo esse entrano in competizione con altre attività più semplici, di facile apprendimento e veloci da consumare, e che proprio per questo possono, una volta acquisite, diventare dipendenze.

 La vera sfida economica oggi è riconoscere l’importanza delle attività creative e delle capacità che ne consentono il godimento. La creatività sia nel produrre che nel consumare non è il risultato di semplice ispirazione e innato talento, come l’eredità romantica ci porta a pensare, ma della conoscenza, dell’educazione e di relazioni sociali e istituzioni che ne facilitino l’accesso.

È la conquista di queste attività e abilità che ci apre ad una vita che, come aveva detto Keynes, ci consente di vivere bene, con saggezza, e piacevolmente [1930, p. 328].

 Bibliografia
Amabile T. (1996), Creativity in context, Boulder, Colorado: Westview Press.
Bianchi M. (2008) “Time and Preferences in Cultural Consumption,” in Hutter M. and D. Throsby (eds.) Value and Valuation in Art and Culture, Cambridge U.P.,  pp.236-60.
Keynes, J. M. [1930] “Economic Possibilities for our Grandchildren”, in Essays in Persuasion, London: Macmillan, 1972 [1931], pp. 321-32.
Hirsch, F. (1976) The Social Limits of Growth. Cambridge, Mass.: Harvard U. P.
Marx, K., Engels, F. [1845] The German Ideology, New York: International Publishers, 1970.
Mill, J.S. [1848] Principles of Political Economy, University of Toronto Press and Routledge, 1965.
Scitovsky, T. (1987), “Growth in the Affluent Society,” in Scitovsky (1995) Economic Theory and Reality, Aldershot: Elgar, pp. 97-108.
Scitovsky, T. [1976] The Joyless Economy, revised edition, Oxford U. P., 1992.
Smith, A. [1776] Wealth of Nations, Oxford U. P., 1976.


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