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Aaaaah

Creato il 14 marzo 2013 da Leo @poteripou

L’espressione “aaaaah“, talvolta seguita dal punto esclamativo per mostrare grande stupore, è la classica esclamazione che produciamo dopo la spiegazione di un concetto a noi oscuro. Quando un profano si avvicina per esempio al mondo dell’arte questa frase è quasi un luogo comune. Il motivo principale è che l’arte tenta di ridefinirsi a seconda del suo periodo storico e non tutti riescono a cogliere la sua essenza; in particolar modo l’arte contemporanea ha raggiunto una manifestazione in cui i suoi criteri e limiti sono labili.
La questione non è però analizzata da un punto di vista più pragmatico: l’arte è umana. La mia banale affermazione spiega chi la produce e per chi è creata; l’uomo plasma per altri (se vogliamo anche per se stesso). Un altro problema è che non tutti sono uguali e quindi non potranno essere tutti scrittori, pittori, musicisti. La dicotomia principale e la più influente della società è tra il ricco e il povero; questa suddivisione permette di semplificare il discorso.
Partiamo dai ricchi, questi hanno la possibilità di produrre arte senza doversi preoccupare che la loro attività sia una fonte di sostentamento. In teoria potrebbe essere uno stimolo a produrre per pura esigenza ma, secondo me, la maggioranza delle volte si crea un alone di ipocrisia e apparenza. Non mi interessa però parlare di questa prima categoria e vi rimando ad una puntata di Pif  della trasmissione Il testimone (arte contemporanea) che secondo me descrive bene la situazione.
Mi preme parlare di tutte quelle persone che i soldi non ce li hanno e tentano di vivere nel mondo dell’arte. Questi non possono permettersi di acquistare opere se non a basso costo da emergenti; non possono aspettare che qualcuno apprezzi il loro operato vivendo sotto un ponte e hanno un’impellenza diversa da chi scrive un romanzo di formazione. I molti tentano allora di coniugare l’utile al dilettevole nella speranza di andare avanti. Qui si crea l’approdo verso la mediocrità e la creazione del personaggio che tenta di promulgare una sua personale visione del mondo che non tutti possono capire. L’artista diventa anche filosofo e, nel malaugurato caso le sue bestemmie lo portino in televisione, opinionista. Mi preme ricordare che non sto parlando dell’intero genere umano, la mia analisi tenta di descrivere una maggioranza che dobbiamo ammettere senza retorica ci attornia. Il problema è che uno diventa artista, scrittore, filosofo, insomma “è” quando la comunità  riconosce il suo gesto ovvero la personalità che ridefinisce la conoscenza. Ormai tutti hanno idee, si crea un sistema in cui sia l’atto puro di pensare che i gesti della manualità perdono significato.
Invece tutti non hanno idee, o per lo meno non sono giuste. La loro inadeguatezza sorge davanti alla mancanza di due caratteri: organizzazione e coerenza. Tutti desiderano essere artisti perché oggi significa non avere idee, proporre la loro stanchezza mentale agli altri nel modo  più zotico possibile. Eppure contro ogni aspettativa sopravvivono categorie di persone che desiderano solo lavorare, niente di più. Si contraddistinguono per l’impegno e la fatica (muratori, contadini, maestri, ecc) nonostante gli scherni. Perché se un bambino sogna di costruire edifici deve diventare un ingegnere e non idraulico? Io non ho la risposta perché per me un manovale può leggere e comprendere Heidegger.
Quando parlo e scrivo (semplicemente quanto mi rivolgo a qualcuno) mi impegno, mi preoccupo di esporre la mia opinione in modo critico e con chiarezza. La mia è un’esigenza personale di miglioramento che mi obbliga a riflettere su cosa rappresento.
Molti miei conoscenti invece, con lo sguardo alla Kerouac, mi guardando dicendomi che quel che conta è lo stile. Allora mi chiedo se hanno visto il film con Ben Gazzara; se hanno mai osservato gli aironi e cosa pensano di Socrate, Hemingway Charles Bukowski.



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