Sto vivendo un periodo in cui è in atto un piccolo conflitto tra me e la musica. Niente di grave: cose che possono capitare e che di sicuro passeranno. Però, quando succedono, fanno più male del previsto: cominci a domandarti perché compri un po’ meno dischi e ascolti un po’ meno musica; ti chiedi come mai le nuove uscite, a parte qualche felicissima eccezione, ti entrino da un orecchio e ti escano dall’altro, e così via. E poi ti rendi conto che hai passato più di un decennio a strimpellare la chitarra, a provare a rifare pezzi altrui, a scriverne di tuoi (molti orrendi, altri ascoltabili), a mettere su gruppi e a disfarli per i motivi più stupidi, per poi ricominciare tutto da capo, con la voglia di creare qualcosa che ricordi anche solo alla lontana quella musica che ti ha cambiato la vita e che sembra avere influito su ogni tua azione, sulle tue relazioni con gli altri, su tutte le volte che hai pensato fosse amore e invece era tutt’altra storia.
Questa musica che ti ha fatto diventare quello che sei, anche quando non passa dalle tue orecchie, si trova ancora dentro di te e non riesci più a mandarla via: ormai ce l’hai incollata alla pelle, e sai benissimo che ci rimarrà per sempre e non potrai più farne a meno. Per questo t’incazzi quando non riesci più a chiuderti nella tua stanza, mettere qualcosa nel lettore o sul piatto e pensare che il tuo mondo sia alla fine solo quello e poco altro. Ti incazzi perché è quello che hai provato ascoltando certi dischi, e quando realizzi che quei momenti si faranno pian piano più rari e più piccoli, non resta che fartene una ragione, aggrapparti al ricordo e tenerlo stretto. Sarà a quel punto che riavrai i tuoi diciassette anni e farai di nuovo pace con la musica. Con la tua musica.
Certi racconti sono meravigliosi. Alcuni sono molto belli, altri assolutamente interessanti; altri ancora fanno malissimo, mentre ci sono pezzi che commuovono e divertono. Alcuni sono scritti da Dio, altri un po’ meno. Ma davvero, questa cosa non è importante; o almeno non lo è se messa di fronte a quanto si può leggere qui dentro.
“Non ti divertire troppo” è un libro che, oltre a imbastire un racconto sulla scena indie a stelle a strisce degli anni Ottanta e Novanta, parla soprattutto di questi momenti. Di quel giorno in cui, grazie a un acquisto fatto con poca consapevolezza in un negozio di dischi, hai scoperto quello che sarebbe diventato il tuo gruppo preferito, oppure del passaggio in radio o in televisione che ti ha rivelato la retta via. Della recensione sulla tua rivista di fiducia che sembrava dirti «vatti a comprare questo disco o te ne pentirai per il resto dei tuoi giorni», in un momento in cui la stampa musicale era l’unica vera fonte di sapere assieme a quell’amico, fratello o cugino più grande ed esperto che ti registrava delle cassette bellissime nelle quali ritrovavi te stesso. Tutte cose così.
I trenta capitoli di questo volume sono stati scritti da ventisei persone provenienti dal giornalismo musicale, da band di un certo livello, da blog belli più o meno seguiti, da piccole grandi etichette discografiche, da gente che abita mondi che nulla hanno a che vedere con la musica, ma che è riuscita lo stesso a dedicargli una considerevole fetta di esistenza. Nessuno di questi autori ha la pretesa di raccontare per filo e per segno la biografia e l’attività del gruppo che si è scelto; no, non è ciò che troverete in questo libro. Come scrive Renato Angelo Taddei, curatore e ideatore dell’antologia, “Non ti divertire troppo” non vuole essere affatto un’enciclopedia dell’indie-rock americano: è più che altro un romanzo a più voci sull’argomento, e su come un gruppo possa cambiare la nostra vita. Essere la nostra vita.
Certi racconti sono meravigliosi. Alcuni sono molto belli, altri assolutamente interessanti; altri ancora fanno malissimo, mentre ci sono pezzi che commuovono e divertono. Alcuni sono scritti da Dio, altri un po’ meno. Ma davvero, questa cosa non è importante; o almeno non lo è se messa di fronte a quanto si può leggere qui dentro.
I Braid si rivelano la chiave per uscire dalla provincia, mentre Gentlemen degli Afghan Whigs il disco giusto da comprare risparmiando sul fumo.
Qui, leggerete di come un ragazzino sia stato “scelto” da Warehouse degli Hüsker Dü dopo essere entrato in un negozio di dischi, e di come quello sia stato la causa delle prime lacrime versate durante l’ascolto di una canzone. Qualcuno vi spiegherà perché Lou Barlow è il suo spirito guida, nonostante i Sebadoh non siano il suo gruppo preferito; qualcun altro vi illustrerà i Sonic Youth ponendoli come spartiacque della propria esistenza. Possono i Pixies segnare la scoperta di un mondo e spingere qualcuno a comprare sempre più dischi? Sì. E i Dinosaur Jr. possono essere il gruppo col quale riprendersi l’adolescenza, attraverso gli amici-nemici J Mascis e Barlow? Ovvio che sì. I Replacements possono essere una radicale scelta di vita, quasi politica; ma anche i Fugazi, con la loro perfezione musicale e umana, perché no?
I Guided By Voices, invece, sono il gruppo a cui legare la propria vocazione musicale e le proprie sbronze, ma non solo. The White Birch dei Codeine può diventare la nostra scialuppa di salvataggio, così come Bob Weston degli Shellac può, allo stesso modo, spingerci a comprare un paio di scarpe da trekking che mai ci saremmo sognati di indossare. Bob Mould può essere il nostro indiscusso idolo musicale, ma anche un nostro amico; e i Neutral Milk Hotel possono essere filtrati attraverso la letteratura delle peste e del contagio, da Tucidide a Camus. I Braid si rivelano la chiave per uscire dalla provincia, mentre Gentlemen degli Afghan Whigs il disco giusto da comprare risparmiando sul fumo.
Qualcuno vi dirà che i Pavement aprono scenari mai immaginati prima; e qualcun altro vi illustrerà una punta di diamante del punk californiano come i J Church. Grazie a un consiglio finalmente ascoltato e seguito, si può narrare la solitudine di Evan Dando e dei suoi Lemonheads, mentre grazie ai concerti dei Nirvana ai quali non abbiamo assistito si riesce a far capire – colpendo al cuore – il fenomeno culturale rappresentato dai Nirvana. È bello scrivere e descrivere il proprio amore per i Get Up Kids o filtrare i propri diciannove anni attraverso la musica degli American Football. Basta la sola foto di un Garrett Klahn in lacrime per capire cosa sono i Texas Is The Reason; servono invece più pagine, più parole e molta più letteratura per far arrivare al lettore l’esperienza vissuta con i Van Pelt. Una puntata di Beverly Hills con i Flaming Lips può essere il punto di partenza ideale per introdurre la band di Wayne Coyne.
I Mission Of Burma sono stati un unicum in un preciso panorama musicale: c’è chi può dirvi il perché; e c’è chi vi dirà delle badilate di cultura dei Lungfish. I Cows sono il gruppo da scovare e collezionare nel corso degli anni e a piccole dosi, mentre i Minutemen possono essere scoperti grazie a un concerto di Mike Watt.
Out Of Time e i R.E.M. possono cambiare davvero una vita, segnare una persona, attraversare la sua esistenza e renderla, in fondo, quello che è adesso? È ovvio che è così, e anzi può fare molto di più. “Mellon Collie” degli Smashing Pumpkins potrà essere l’ultimo disco ascoltato con la vera spensieratezza di un adolescente, solo con la musica e poco e nulla in testa. Gli Slint e la loro rivoluzione mancata saranno sempre lì a ricordarci che nella vita sentiremo comunque la mancanza di qualcuno.
Se volete sapere nel dettaglio cos’erano o cosa sono queste trenta band, allora non è proprio quello che state cercando. Ma se per caso vi interessasse sapere cosa avreste potuto essere voi grazie a queste trenta band, allora avrete trovato il libro giusto
“Non ti divertire troppo”, insomma, è una dichiarazione d’amore fatta alla musica; una celebrazione dello scrivere di musica, un libro che non può non essere amato a sua volta da chi ha rinunciato a uscire la sera per una settimana per comprarsi un disco, da chi ha passato giornate intere spulciando tra vinili e cd; da quelli che hanno ascoltato una canzone e il giorno dopo hanno voluto formare un gruppo. Da chi ama la musica e ama parlarne, scriverne e leggere storie che hanno a che fare con essa.
Se volete sapere nel dettaglio cos’erano o cosa sono queste trenta band, allora non è proprio quello che state cercando. Ma se per caso vi interessasse sapere cosa avreste potuto essere voi grazie a queste trenta band, allora avrete trovato il libro giusto; quello che, una volta chiuso, vi farà venire voglia di rivivere e raccontare a qualcuno quei giorni in cui la musica ha cambiato la vostra vita, bruciato il cervello, frantumato il cuore, rivoluzionato la vostra anima. Nel caso non fosse mai successo, non oso immaginare che vita di merda abbiate vissuto.
Ah: la copertina la copertina l’ha disegnata ZeroCalcare.
Scrive la prefazione un certo Mike Watt.
Buona lettura a tutti.
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