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Un unico uomo non sfiderebbe il suono di una sirena irrompendo in una casa piena di persone. Ho il cuore a mille e mi manca l’aria, mentre batto in ritirata e mi chiudo la porta della camera da letto alle spalle. Comincio a correre su e giù per la stanza e prego che mio figlio non scenda a vedere. Sono in pena per mia madre. Lei dorme dabbasso, le faranno del male. In pochi secondi rivedo gli scempi, i delitti e le violenze che la cronaca ci getta in faccia ogni giorno: vittime prese a martellate, a calci, sventrate o stuprate. La paura m’attanaglia lo stomaco e la mente. Non riesco più a ragionare. Prego sottovoce domandandomi dove sono finite questi ladri, queste carogne. Sento rumori in giardino e m’affaccio. Ne vedo uno salire sulla mia auto parcheggiata in cortile. Cammino su e giù come un pazzo. Devo pensare, Dio, fammi pensare. In un attimo decido, imbraccio il fucile e mi dirigo veloce verso il balcone. Inciampo, parte un colpo. Il rinculo mi fa indietreggiare. M’appoggio alla finestra frastornato, tremo come una foglia. Non respiro più, soffoco. E’ la paura. Coraggio, mi dico, sporgendomi nuovamente. Eccolo, eccolo! Lo vedo scavalcare il muro di cinta. Apprenderò in seguito che i suoi compari l’hanno abbandonato per strada, ferito dal colpo del mio fucile. Mi diranno che è morto.” Ho cercato di vestire i panni della vera vittima di questa storia, il Signor Monella. Padre di famiglia, incensurato. Una brava persona condannata dopo le tre fasi di giudizio alla pena di sei anni. I giudici non hanno creduto al colpo partito per caso. E’ già in carcere. S’è costituito senza clamore, con dignità, evitando qualsiasi tipo di pubblicità. Il ladro defunto è un albanese di diciannove anni. Alla sua famiglia, i Monella hanno già versato 40.000 euro quale anticipo di risarcimento. Siamo uno strano paese, senza tutele per i giusti. Abbandonati a combattere in casa nostra come in trincea. Possiamo usare un’arma per difenderci solo quando temiamo per la nostra vita, praticamente in un faccia a faccia col malvivente. Ma non per evitare quello che forse o certamente potrebbe accadere. Ci è vietato prevenire il reato, anche se la paura ci sussurra il contrario e la mente ci regala visioni di nostra figlia stuprata o di nostra madre a terra col cranio fracassato. Ci vogliono inermi davanti al nemico che con arroganza entra in casa nostra e abusa delle nostre vite. Se il Signor Monella non avesse sparato e gli altri due non si fossero spaventati e dati alla fuga (cosa che non avevano fatto nemmeno davanti al suono della sirena dell’allarme e sapendo della presenza in casa di più persone), probabilmente avrebbero interpretato il remake di “Arancia meccanica” e fatto una strage. Lui e la sua famiglia sarebbero stati l’ennesimo caso di cronaca nera e di morte annunciata al Tg della sera. Nulla più. Onesti che vanno in carcere senza neanche i domiciliari, mentre fior fior di criminali vagano indisturbati per le nostre città, liberi di colpirci, depredarci o minacciarci passando dal via senza entrare in galera. Stato assente, cinico e indifferente, lui e le sue leggi cavillose e bestiali. Stato che permette che sia violabile ciò che per legge non lo è, cioè noi, i nostri cari e la nostra casa. Stato che limita l’uso delle armi ai giusti e lascia che i bruti facciano scempio di noi e delle nostre cose. Stato che ci disarma armando la nostra paura e giudicando le nostre azioni al pari dei malvagi, barbari, farabutti. Furbi, dobbiamo essere più furbi di chi ci deride. Di chi sghignazza mentre deruba e ci colpisce, e di chi ci giudica e ci rinchiude. Più furbi…
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