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Abbazia della Novalesa: San Eldrado a spasso nel tempo

Creato il 20 luglio 2014 da Il Viaggiatore Ignorante
Novalesa
Per arrivare fino a Novalesa ti devi lasciare Torino alle spalle. Devi percorrere decine di chilometri, dimenticando la città, il suo traffico, la sua aura regale.
Vai avanti sul nastro di asfalto dell'autostrada, puntando verso le montagne e lasciandoti tante cose alle spalle.
Anche la Sacra di San Michele e la sua sete di dominio da in cima alla sua altura di pietra, il suo aver voluto rendere sempre più sottile, consumata la linea di confine fra potere temporale e spirituale.
Ti devi lasciare alle spalle le lotte dei No TAV, accampate ormai da anni  a presidio della Valle, che nascono come etiche e si allargano a macchia d'olio sconfinando nel politico e nel sociale.
Novalesa è così in alto che sembra che le Alpi che le sono intorno siano in realtà delle dita di pietra di una mano che la protende verso il cielo.
A Novalesa ti sembra che esistano solo il verde, i boschi, le montagne e la volta celeste di un blu accecante, per cui diventa facile non pensare più a quel che ci si è lasciati alle spalle e perdersi lì, nella pace, nella bellezza.
Forse hanno avuto lo stesso pensiero i monaci che nel 726 si sono arrampicati fin qui per costruire un'abbazia di pietra - della stessa pietra solida e seria delle montagne, e che, come le montagne, ancora oggi è qui a guardarci, a parlarci in silenzio di Dio o di chi per lui, a trasmetterci un messaggio che rimane, più forte del tempo, e che racchiude l'essenza dell'animo umano e di ciò in cui ha bisogno di credere. È un'essenza fatta di forza e di bellezza, raggiungibile solo attraverso il silenzio e l'umiltà.
Novalesa è stata un'abbazia potente, ma il suo potere fu rappresentato più dalla ricchezza della sua biblioteca che da quella dei suoi forzieri. Non si erge in cima alle montagne a farsi carico di una protezione che si trasforma automaticamente in dominio: delle montagne cerca solo la vicinanza con il cielo per respirarne la pace, cerca il loro silenzio come rifugio per meditare ed elevare lo spirito.
Nel 726 le cronache ecclesiastiche usavano la metafora fiabesca come strumento di marketing: il popolo non si poteva fidelizzare solo attraverso la paura dell'Inferno, bisognava anche dissetare la sua speranza trasformando pii uomini di Chiesa in supereroi. La razza umana ha da sempre bisogno di sognare, di creder che qualcosa di straordinario sia possibile: oggi abbiamo Hollywood, nel Medioevo c'erano miracoli magici fatti da Santi con superpoteri.
Novalesa
San Eldrado è stato uno dei primi abati di Novalesa.
È stato una delle principali chiavi di volta nella parabola di crescita di prestigio ed importanza dell'abbazia, rendendola prospera e regalandole una nomea di cui si parlava con reverenza: oggi diremmo che aveva brillanti doti manageriali, e che probabilmente era anche un leader carismatico, e magari ad Eldrado stesso verrebbe in mente di fare pubblicità all'abbazia aprendosi un account Twitter o vendendo su eBay i preparati di erbe officinali prodotti dai monaci; ma all'epoca le strategie di comunicazione promozionale si basavano solo su una cosa.
I miracoli.
E le Cronache Novalicensi ci decantano a piene mani i superpoteri del loro abate.
Novalesa
Le rocce delle montagne sono forti e solide e da sempre proteggono il villaggio di Novalesa come robuste sentinelle fedeli - ma nascondono anche insidie mortali.
Non sempre l'uomo riesce ad essere più forte della natura, e le vipere erano un nemico letale temuto in qualunque insediamento ad alta quota a contatto con le rocce in cui esse si nascondono.
In un posto come Novalesa, i serpenti non erano solo un'ovvia metafora del Maligno, ma anche un pericolo concreto contro cui dover lottare, una minaccia che seminava morte fra le culle e le stalle.
Eldrado affronta il problema con piglio druidico: con il suo bastone disegna sull'erba un cerchio, come nella tradizione dell'Antica Religione si usa per incanalare le energie magiche che scorrono nell'aria, ma che, nella sua veste di emissario del Dio cristiano, forse voleva intendere come simbolo della perfezione divina, e vi racchiude le vipere.
Il Male, metaforico o reale come il loro veleno, di cui i serpenti sono portatori, viene sconfitto dal sacro potere evocato da Eldrado, e le vipere diventano innocue come lombrichi: le loro zanne letali come pugnali si smussano, il loro veleno evapora - i bambini che se le ritrovano nel lettino le adottano come animali da compagnia, ignari del loro passato da portatrici di morte.
Suona un po' disneyano questo messaggio del Bene che riesce a disarmare il Male senza sforzo, con la semplice evidenza della sua perfezione, della sua bellezza; ma, in un villaggio di montagna, sicuramente rendere innocue le vipere è la migliore promessa elettorale che il marketing ecclesiastico di quei tempi potesse concepire.
Novalesa
Dopo le vipere, l'altro fantasma che inquietava gli abitanti di Novalesa doveva essere la carestia: la montagna è burbera, non sempre il suo ventre è generoso, e c'erano annate in cui il rischio di non raggiungere un traguardo minimo di sostentamento era concreto.
Oggi diremmo che un buon leader deve saper trasformare le minacce e la crisi in opportunità, tramite l'abilità di riuscire a sfruttare in maniera corretta le risorse che ha a disposizione: ed Eldrado, che non aveva solo poteri magici di stampo druidico ma anche altri di taglio decisamente più biblico, decise di trasformare l'acqua del torrente che scorre di fianco all'abbazia in olio.
Non in vino, perché questa è una trasformazione che richiede un grado gerarchico più elevato; ma d'altro canto ricordiamoci che siamo fra le montagne dell'Alta Val di Susa, e l'olio all'epoca era probabilmente un liquido ancor più prezioso ed esotico.
La fonte magica fu di grande aiuto per il nutrimento degli abitanti di Novalesa; ma, non appena l'essere umano soddisfa le necessità primarie, inizia a pensare a come soddisfare altre necessità, e qualche Novalicense con l'animo del business man elucubra su una possibile commercializzazione.
Ma il marketing di Eldrado ha fini etici, non remunerativi, e, con un suo schiocco di dita, o un battito di ciglia, o una semplice formulazione di pensiero, la fonte torna a sgorgare acqua.
Novalesa
Ma c'è un terzo miracolo di cui Eldrado è protagonista.
Un miracolo che coinvolge una dimensione talmente mistica ed introspettiva da non sembrare più un'operazione di marketing ecclesiastico, ma da assumere una parvenza, se non di verosimiglianza, perlomeno di profondità - di umanità.
Le debolezze dei leader (o dei supereroi) non sono macchie che ne intaccano il carisma, ma sono anzi sfumature che arricchiscono di umanità il chiaroscuro della loro biografia.
A volte le responsabilità si vorrebbero accantonare, anche solo per un attimo, a volte aver conseguito molti traguardi ti lascia svuotato di stimoli - e hai bisogno di fermarti un attimo a riflettere, a raccogliere i nodi e a guardarti alle spalle, per capire su che sentiero ti stanno conducendo i tuoi passi, per capire se sei ancora padrone di plasmare le svolte che avrà la via di fronte a te.
Novalesa
Eldrado si inoltra nei boschi circostanti l'abbazia.
Si siede su una roccia in una radura ed osserva la propria ombra proiettarsi lunga ed affilata fra i fili d'erba.
Un'altra ombra si sta allungando dentro di lui, incastrata fra lo sterno e la bocca dello stomaco. E' un'ombra che non sparisce di notte, ma anzi si fa più scura, e lo fa sempre pensare, pensare, pensare.
Pensa che ha fatto tanto, ma non sa se quel tanto poteva essere di più. Pensa che di tutte le gocce di sudore che ha versato, alcune sono riuscite a produrre un piccolo lago, ma che quelle sciupate invano sono state molte di più.
Pensa che a volte vorrebbe essere qualcun altro, essere altrove, vivere un'altra vita - non per sudare di meno, ma semplicemente per vedere altre cose, avere altre opportunità.
Pensa che a volte la mano delle montagne che li protende verso il cielo si serra un po' troppo stretta, e si sente soffocare.
Pensa anche che, ogni tanto, gli piacerebbe poter smettere di pensare.
Un usignolo si posa su un ramo vicino a lui e canta.
Le note sono soavi e leggere ed Eldrado, per un attimo, dimentica il peso della sua seconda ombra.
Chiude gli occhi e dimentica anche i suoi pensieri. Esiste solo la melodia dell'usignolo, il bacio del sole che fa capolino fra i rami, la carezza del vento.
Rimane sospeso in quell'incanto, ferma il tempo, ferma le ombre, tutto è distante. Forse è così il Paradiso?
Quando riapre gli occhi la seconda ombra è sparita, il canto dell'usignolo l'ha resa innocua come lui ha fatto con le vipere.
Si sente di nuovo in pace con il mondo e con la sua missione in esso.
Varca la soglia del convento, rinfrancato e pieno di buoni propositi. Non si accorge che c'è qualcosa di diverso: i cespugli che aveva fatto piantare di fronte al portone non ci sono più, la cappella che aveva appena ordinato di costruire è stata ultimata, un'ala del dormitorio che fino a pochi attimi prima era sanissima ora è pericolante.
E' solo quando entra nella sala comune e non riconosce nessuno dei volti assisi in preghiera che si rende conto che c'è qualcosa di strano.
Novalesa
Ferma un novizio e gli chiede che anno è.
Sono passati duecento anni.
Il canto dell'usignolo l'ha proiettato nel futuro.
Nel convento nessuno conosce Eldrado: per i frati è solo un nome vergato sui volumi della Cronaca, una figura dipinta negli affreschi della cappella. Non gli credono quando dice di essere chi è. Lo apostrofano sogghignando, porgendogli un otre d'acqua e dicendogli che in dispensa sono rimasti a corto d'olio.
E' un sogno?
E' una prova di umiltà per Eldrado, che capisce che il tempo scorre in fretta come l'acqua dei torrenti, e che anche i nomi più importanti alla fine non sono che un segno di inchiostro su un foglio di pergamena.
Ma la sua cappella è ancora lì, la sua abbazia è ancora potente.
Ciò che si fa, rimane.
E a volte è anche giusto ricordare i nomi di chi ha fatto.
Chiamatelo marketing, o chiamatelo miracolo se preferite - in ogni caso è una storia.
E questo è il bello delle storie: finché ci sarà qualcuno che le racconta, i loro protagonisti continueranno ancora a vivere.
Serena Chiarle

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