Nei pressi di Veroli, lungo la Via Maria che collega Frosinone a Sora, e nelle immediate vicinanze del fiume Amaseno, sorge l’imponente Abbazia di Casamari. Fondata originariamente dai monaci benedettini nel XI secolo, agli inizi del XIII secolo l’Abbazia passò all’Ordinabbazia casamarie monastico Cistercense, che ne rimodernò ed ampliò la struttura, ed oggi essa si presenta quale uno dei più notevoli monumenti d’architettura gotico-cistercense rimasti intatti.L’area dove ora sorge il complesso abbaziale di Casamari era abitata già dal IX secolo a. C. dai Volsci e dagli Ernici e, nel secolo IV, dai Sanniti, che lo cedettero successivamente ai Romani. L’origine del nome “Casamari” è remoto. Alcuni studiosi ritengono che abbia radici tosco-umbre, altri invece lo associano all’unione dei termini “Casa Marii”, con il chiaro riferimento al generale romano, Caio Mario, che si presume sia nato in questi luoghi. I dati storici e archeologici, però non consentono di stabilire con precisione dove era il sito originale poiché nello stesso posto sorgeva il piccolo villaggio di Cereatae Marianae, edificato in onore della dea Cerere e attraversato dalla via Maria, i cui resti sono ancora oggi evidenti. I lavori di ristrutturazione di Casamari vennero affidati ad una Corporazione Muratoria, i cui sapienti scalpellini hanno lasciato, intagliati in diversi angoli della chiesa, alcuni simboli distintivi della propria compagnia, ripresi in seguito anche dalle associazioni Massoniche sorte nel corso del Settecento in Ciociaria. Quest’ultime, infatti, oltre a raccogliere l’eredità culturale-esoterica dei Templari, si ricollegano, ancor di più, alle Corporazioni Muratorie medievali. Alcuni
dei suddetti emblemi sono visibili all’interno della chiesa: scolpito sul capitello della prima colonna a destra della navata centrale, è una tau templare, appesa alla quale, vi è un grembiule da scalpellino, mentre nella facciata posteriore dello stesso capitello vi è un braccio che tiene in pugno uno scalpello ed una squadra. Inciso su un altro capitello è il simbolo dell’”Ouroboros”, ossia la rappresentazione alchemica del “tutto in uno”, del “Principio e della Fine”, raffigurata da due serpenti che si mordono la coda. Tra le sculture del coro ligneo, abbiamo notato, tra l’altro, un altro figura che richiama anch’essa alla simbologia massonica: un piccolo cigno intarsiato che s’incide il petto con il becco. Infine sulla lunetta del Portale dei Conversi è raffigurato l’emblema dell’ “Albero della Vita”, affiancato da due croci templari. Una particolarità dell’architettura Cistercense è la quasi assenza di elementi decorativi, finalizzata a non distogliere dalla preghiera il fedele. Fatto insolito è, dunque, che su uno dei capitelli del chiostro, si trovano riprodotti tre volti raffiguranti Federico II di Svevia, il suo cancelliere Pier delle Vigne, e forse Gioacchino da Fiore, che a loro volta evidenziano gli stretti rapporti intercorsi tra l’Imperatore e i monaci Cistercensi. Un fatto questo, particolarmente ambiguo, in quanto è noto che Federico II non godeva dell’approvazione della Chiesa, dalla quale, tra l’altro, venne persino scomunicato, mentre con i monaci dell’Ordine Cistercense instaurò, misteriosamente, un forte legame. Se ciò sia ricollegabile o meno alla stretta relazione intercorrente tra i Cavalieri Templari ed i monaci cistercensi e non è certo. È invece documentata sia la loro affiliazione all’imperatore svevo, avvenuta nel 1221, sia che egli fu ospite presso l’Abbazia di Casamari durante l’incontro con il Papa, quando decisero della quinta crociata.