“ Venitemi intorno,
dovunque vaghiate
e riconoscete che le acque
sono cresciute
e che presto le avrete
alla gola:
e se credete che valga
la pena di salvarsi,
allora è meglio che
cominciate a nuotare,
ché sennò affonderete
come pietre
perché i tempi stanno
cambiando,
e colui che oggi è lo sconfitto
domani sarà il vincitore.”
Da The times are a changing (I tempi stanno cambiando)
Dopo il 1959 come data storica non può mancare all’appello il 1968, l’anno della rivoluzione giovanile, o meglio, dell’inizio della contestazione giovanile e di una serie di cambiamenti dopo i quali il mondo occidentale ha cambiato radicalmente il suo costume. Anche questa come quella Rivoluzione si può ritenere non riuscita o riuscita solo a metà, entrambe dimostratesi dei rami che non hanno saputo portare il frutto sperato.
Per lo meno, non ancora, perchè non è detto che quello che non si è riusciti a fare in vent’anni di terrorismo politico e di scontri sociali non si sappia poi recuperare in altrettanti vent’anni di revisione e di ritorno a quelle tematiche, a quelle pulsioni, a quelle esigenze di libertà e di verità rimaste del tutto immutate e vive.
Facciamo allora un pò di analisi sulla questione; si cominci con l’osservare che è tipico di ogni fiamma rivoluzionaria il suo emergere improvvisa ed incontenibile, è stato così per i moti risorgimentali, è stato così per ogni movimento che volesse di per sè e per sè porsi come momento di svolta, di cambiamento, di slancio verso il futuro.
Ogni movimento rivoluzionario ha sempre avuto la prerogativa di far immaginare e di far presagire un futuro immediato dove le cose, le persone, la natura ed il tempo non sarebbero più stati gli stessi.
E’ accaduto con l’avvento dell’ebraismo che attende invece da cinquemila anni il suo Messia; è accaduto con l’avvento del cristianesimo che da duemila anni attende l’avvento della Resurrezione dalla morte; è accaduto con il marxismo che dalla sua comparsa sta proclamando la fine del capitalismo; e lo stesso si è ripetuto con l’avvento del movimento giovanile che dal 68 attende la fine dell’ingiustizia nel mondo con l’avvento del Bene.
Si proceda con il dire allora che il 68 è stato per l’appunto un movimento di giovani, portato avanti dai giovani e per i giovani che si sono resi per la prima volta protagonisti del loro tempo, della loro società, della loro vita, con tutte le difficoltà del caso, visto che lo hanno fatto in una società che era da sempre stata gestita dai vecchi, da persone mature e ben quadrate, abituate da sempre a ritenersi le uniche demandate al governo della politica.
Per la prima volta l’essere giovane si è posto come momento di per sè qualificante, di per sè prezioso e strategico; un giovane in quanto tale non si è ancora inserito in un sistema corrotto e perverso, quindi non è ancora stato contaminato dalle regole del gioco sociale e politico dettato da chi si è sottomesso e compromesso con le regole dell’involuzione e dell’essere conservatore di cose sbagliate e superate.
A seguito di tutto questo discorso mi sorge spontanea la domanda: quale parallelismo si può tracciare tra i giovani di allora ed i giovani di oggi? Come si muovono, pensano, agiscono, cosa desiderano, cosa cercano, a cosa aspirano questi candidati protagonisti del nostro attuale contesto sociale?
Io oggi ho cinquant’anni, nel 68 dunque ne avevo circa dieci, ero allora troppo piccola per capire quello che stava accadendo sotto i miei occhi; quando nel 78 il ministro Aldo Moro veniva barbaramente giustiziato dalle Brigate Rosse avevo però diciotto anni e qualcosa ho cominciato a capire, a valutare.
Ho capito che quella politica violenta e sanguinaria non avrebbe portato a nulla di buono, ho valutato che c’era una sinistra estrema che stava nuocendo al paese, ho pensato che il sangue avrebbe portato altro sangue ed altra violenza; ho sperato e creduto che ci potesse essere un altro modo per portare il Paese fuori da quella condizione di odio e di veleno. Ho valutato anche che per esserci una sinistra violenta doveva anche esserci una destra altrettanto poco disposta al dialogo, che in genere non si litiga mai da soli, non si va in piazza a tirare bombe se non c’è un nemico da colpire.
La mia cultura cattolica, la mia formazione cristiana, la mia stessa educazione provinciale e borghese mi hanno sempre tenuto nel solco della tradizione e di un sentire comune improntato al senso di responsabilità verso le proprie azioni e verso i bisogni familiari e collettivi. Forse fin troppo proiettata verso i bisogni collettivi e troppo poco ancorata ai bisogni personali.
Allora avrei avuto la possibilità di diventare in poco tempo un’insegnante di ruolo ma i casi della vita, per pura accidentalità, mi hanno portato su un’altra direzione.
Solo molto più tardi, ormai adulta ed ormai madre di famiglia, ho potuto riprendere un percorso formativo e professionale che purtroppo oggi reincontra tutte le difficoltà di un momento politico ed economico per nulla favorevole e senz’altro peggiore, sotto certi aspetti, di quello di allora.
Non ho nessuna intenzione d’arrendermi, non mi dò per vinta, a dispetto dei miei cinquant’anni che non mi sento e che non mi vedo affatto addosso.
Se Fidel Castro a ottantaquattro anni suonati dopo essere resuscitato dalla sua gravissima condizione fisica, riesce a fare cose pressochè incredibili solo grazie alla sua tempra ed al suo carattere, perchè non dovrei farcela io ad avere la meglio su una serie di congiunture negative che di certo non saranno imperiture e che non minacciano ancora affatto la mia salute?
Certo, io non ho i mezzi di Fidel, questo gioca a mio svantaggio, ma voglio pensare di potercela fare, voglio credere che per me lavorerà anche la buona sorte e non solo la mia ancora non irrecuperabile occasione.
Se io che sono praticamente non più giovane posso credere questo, cosa non potrebbero sapere pensare i giovani che pur incontrando una serie di condizioni infelici hanno comunque l’età e dunque il pensiero e dunque il fisico e dunque il cuore per potere ancora Rivoluzionare lo stato delle cose che li circonda?
Cosa gioca malamente più di ogni altra cosa in un giovane che oggi si trova ad incamminarsi sulla strada del proprio futuro? Forse la poca voglia di sapere attendere la propria occasione? Forse il fatto di sentirsi inadeguato di fronte alla complessità dei problemi chiamato ad affrontare? Forse l’errato pensiero che si può continuare a rimanere giovani fino a che il tempo ce lo permetterà? Forse la mancanza di ideali? Forse un’educazione che ha concesso tutto e troppo fino a produrre esseri spesso smidollati e senza nervatura? Forse l’idea di sentirsi abbandonato e senza adeguato sostegno? Forse la mancanza di esempi?
Cosa ha giocato nel 68 e nel 78 contro quei giovani che si sono scelti una strada improntata al terrorismo ed alla rivendicazione armata? Di certo una società che li ha saputi e potuti e voluti stritolare, richiamandoli alle loro responsabilità, colpe che hanno dovuto pagare tutte o quasi, colpe che stiamo pagando ancora adesso. Le loro richieste erano giuste, i loro mezzi per perseguirli sbagliati.
Così come la società ha operato con successo attraverso i suoi strumenti giudiziari legislativi e politici contro il crimine, un giovane o più giovani o una classe di giovani possono operare positivamente contro una società che li stritola con altrettanti strumenti legislativi e politici. Come? Con altrettanti strumenti legislativi e politici. Presumo mettendosi a fare qualcosa di seriamente costruttivo, magari cominciando ad andare al voto con l’idea di voler mettere al governo qualcuno che li sappia sul serio rappresentare.
L’altro ieri sentivo alla radio radicale il prof. re Massimo Fagioli che diceva di Nichi Vendola: “ Non potrà mai essere il leader della sinistra perché è cattocomunista ed è frocio”
Senza nulla togliere all’eccellenza di questo emerito maestro di psichiatria (che non è oggetto di questa riflessione), non mi ha colpito dell’intervista, senza nulla togliere e senza nulla aggiungere a tutto quello che si può dire e che si può non dire sul personaggio, l’uso dei termini; anch’io amo il linguaggio diretto e non velato, so che all’interno di un discorrere ci possono stare le espressioni colorite nell’intercalare dei ragionamenti, ma mi ha nella circostanza interessato il silenzio quasi sgomento del suo interlocutore che sentendolo parlare in quel modo gli ha allora chiesto “Non ha mai pensato di potere diventare un uomo di destra?” e l’interpellato ha risposto: “Giammai, destra è uguale a conservazione, è uguale a mortificazione dell’essere umano; io invece credo nel cambiamento, credo nell’uomo e nelle sue possibilità”
Bene, ottimo, che lo si possa allora dimostrare anche verso il sig. Nichi Vendola che mi sembra ne abbia di numeri da esibire a suo vantaggio. Se proprio non lo si può ritenere adatto ad essere il leader del comunismo italiano (mi piace usare ancora questa parola anche se di fatto ha cambiato pelle ed ha cambiato nome…) allora si dica una volta per tutte chi può essere questo candidato, perché davvero non se trovano che sappiano accontentare tutti e che sappiano fare fronte a questa destra che invece da tempo non fa che centrare colpi su colpi tutto a svantaggio purtroppo del tessuto sociale ridotto ormai ad un colabrodo. Chi possiamo ritenere l’erede del mitico Berlinguer? Veltroni, Bersani, Prodi, D’Alema, Franceschini, Rutelli? Ce ne potrebbero essere altri ma non mi rinvengono i nomi e se non mi rinvengono nemmeno i nomi vuol dire proprio che non stanno nemmeno dentro la memoria collettiva.
Se fossi di sinistra mi chiederei quale sia la ricetta vincente del buon compagno cattocomunista e frocio, mi chiederei cosa dovere modificare nella mio agire politico e nel mio contenuto comunicativo, non solo ritenendo Nichi Vendola un esempio vincente ma ritenendo la stessa destra un altro esempio non di certo condivisibile ma in qualche modo da imitarsi.
Se fossi di destra non mi vergognerei di dire al mondo intero di avere votato Berlusconi o la Lega, direi e spiegherei le ragioni della mia scelta, sostenendo che il paese ha bisogno di stabilità e di governabilità e di riforme.
Quello che davvero non mi riesce di capire è perché non si riescono a trovare elettori disposti ad ammettere senza problemi di avere votato per questo governo. Ma allora ci rendiamo tutti conto che questo governo sta distruggendo cose positive che sono costate anni ed anni di lotte e di sacrifici? O semplicemente ci si vergogna di essere tra quelli che se ne fregano del sociale e non si ha la pubblica faccia di dichiararlo.
Non ho la vocazione dei laterali ma ho la vocazione della mediazione, non perché la verità stia nel mezzo, ma perché credo che in politica sia un uomo di destra che di sinistra possono essere utili ad un paese, possono produrre qualcosa di buono, possono avere idee vincenti.
Dove invece non mi riconosco affatto mediatrice è nell’ascolto dei propri desideri profondi; non si può di fronte a scelte radicali che di fatto dettano la propria esistenza essere uno che sta nel mezzo, che bilancia, che temporeggia; o si è dentro o si e fuori, o si è favorevoli o si è contrari, o si ha il coraggio del rischio o non si rischia. Insomma, come dire, della propria vita possiamo decidere solo noi stessi, ma della vita di tutti dobbiamo sapere ascoltare la platea…
Credo anche che la nostra società abbia bisogno di un nuovo sessantotto, di una nuova primavera che sappia smuovere i popoli, giovani e non giovani, tutti uniti verso lo stesso obiettivo. Credo che così come la vita di ognuno di noi necessita di albe folgoranti, di incontri stravolgenti, di svolte radicali, anche una società intesa come un mondo uniforme e compatto abbia bisogno delle sue ere, delle sue chiamate collettive.
C’è bisogno per questo di un nuovo momento rivoluzionario che abbia voglia di stare nella piazza, di ritornare nelle strade, di uscire da ogni moda di tendenza, di sapere guardare oltre le temporanee ed effimere offerte del mercato, in un contesto che possiamo dire di fatto ormai multirazziale, multi religioso, multi politico, oltre ogni colore, religione, bandiera.
Andare nelle piazze non per buttare bombe, ma per dichiarare semplicemente quelli che sono i nostri progetti da costruire.
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