Identicamente a Jonathn Swift nel 1729 ci permettiamo di dare un piccolo suggerimento al nostro governo, che apparentemente pare non essersi reso conto di interessanti potenzialità di risparmio per la prossima legge di stabilità.
Legge che prevede (in spregio ad ogni logica) di rendere obbligatorio il pagamento del canone RAI collegandolo alla bolletta elettrica: assurda non tanto perché chiaramente incostituzionale (voglio vedere quale magistrato potrà sostenere l’automatismo fra possesso di un contratto elettrico e utilizzo di un impianto atto alla ricezione televisiva e quindi soggetta a raffiche di ricorsi persi in partenza), ma per l’utilizzo di questi fondi allo scopo unico di foraggiare un vero e proprio buco nero incontrollabile ed incontrollato.
Finora dal canone RAI (lo chiamo in questa maniera perché anche se ha cambiato nome divenendo un “canone di possesso di apparecchiature atte alla ricezione televisiva” di fatto gli introiti sono destinati al carrozzone RAI) sono stati incassati dai vari governi circa 1,65 miliardi di euro (valore del 2012).
Nello stesso 2012 Mediaset ha raccolto quasi due miliardi di pubblicità mentre la Rai meno di settecento milioni, e tenendo conto del fatto che la tv di Stato e il Biscione si dividono in parti quasi uguali i tre quarti dell'audience televisiva (la RAI con il 40% dello share medio e Mediaset con il 35%) ci si dovrebbe chiedere il motivo di questa (apparente) stranezza.
In realtà la legge Gasparri impone alla concessionaria pubblica un tetto dell'affollamento pubblicitario molto inferiore a quello dei concorrenti privati, compensando i mancati introiti con il canone (1,65 miliardi nel 2012), fatto che comporta incredibilmente un minor valore unitario della pubblicità.
Oggi, in luogo di variare una legge assolutamente dannosa quale la Gasparri si preferisce decidere di foraggiare ancora un meccanismo canone+tetto che non è solo una garanzia per la Rai ma anche un sussidio indiretto per Mediaset, che in normali condizioni di mercato non avrebbe ovviamente gli attuali ricavi pubblicitari.
Questo poiché risulta difficile immaginare che le reti Rai, con ascolti superiori a quelle Mediaset, continuerebbero in assenza del tetto a raccogliere circa un terzo dei ricavi pubblicitari delle concorrenti private: si ipotizza che, mantenendo identico il valore complessivo della pubblicità, il complessivo dei ricavi sarebbe più o meno in pareggio, con valori pari a circa 1,3 miliardi di euro ognuno.
Si noti che il “tetto” definito dalla legge Gasparri è economico e non temporale: in altri termini la RAI può raccogliere un determinato valore economico in pubblicità ma in termini di tempo complessivo i valori non si discostano in maniera sostanziale… follia o calcolo ?
Ai posteri l’ardua sentenza, benché chiunque sia dotato di un barlume di intelligenza si potrà fare un’idea abbastanza chiara di chi si sia voluto favorire con questa “legge” Gasparri.
Per vostra informazione nel 2012 la Rai dichiara un fatturato di 2,65 miliardi di euro a fronte di costi pari a 2,9 miliardi di euro che portano ad una perdita economica pari a 242 M€ (vedi http://www.rai.it/dl/bilancio2012/ita/dwl/pdf/Bilancio_Rai_2012.pdf), mentre Mediaset, che di fatto ha una struttura abbastanza simile, dichiara fatturato pari a 3,72 miliardi di euro ed un margine operativo (al netto di investimenti tecnologici) pari a 307 milioni di euro.
Va fatto notare che senza il sostanziale apporto della tassa di possesso i fatturati RAI, già fallimentari, comporterebbero l’immediata cessazione delle attività contestuale alla consegna dei libri contabili al tribunale di Roma...
Non contenti della dimostrazione di incapacità endemica dimostrata dalla dirigenza Rai (peraltro iperpagata rispetto a Mediaset) la Guardia di Finanza ha accertato una serie di interessanti operazioni finanziarie che usando un eufemismo sono “leggermente” sospette e riguarderebbero 37 dossier relativi alle indagini interne condotte negli ultimi due anni, e questo perché quelle relazioni riportano gli esiti degli audit su appalti e acquisti, contratti con società esterne costate all’azienda pubblica radiotelevisiva centinaia di milioni di euro, la cui esistenza era stata finora negata dagli stessi responsabili degli uffici.
Riporto quanto scritto sul “Corriere”( http://www.corriere.it/cronache/15_ottobre_26/sanremo-appalti-sospetti-presi-dossier-rai-b049f8fc-7bad-11e5-9069-1cf5f2fd4ce8.shtml ): L’esame dei fascicoli avrebbe già fatto emergere numerose irregolarità, soprattutto per quanto riguarda la scelta delle ditte alle quali affidare lavori e commesse. Il resto lo sta facendo un testimone che ormai da tempo collabora con gli inquirenti e ha svelato i retroscena degli accordi siglati negli ultimi due anni. Si è concentrato sulle trasmissioni di punta della Rai, primo fra tutti il Festival di Sanremo.
E ha fornito agli investigatori anche il codice per leggere i file criptati sui soldi delle «mazzette» versate per aggiudicarsi gli appalti truccando le gare. Nell’elenco ci sono alcune trasmissioni di approfondimento giornalistico, altre di intrattenimento, svariate fiction.
Le verifiche cominciano qualche mese fa e arrivano a una svolta nel giugno scorso quando scattano una cinquantina di perquisizioni per corruzione e turbativa d’asta. In cima alla lista degli indagati ci sono i fratelli David e Danilo Biancifiori titolari delle società «Diand lighting and Truck» e «DibiTechnology» che nel corso degli ultimi anni hanno ottenuto il monopolio delle forniture tecniche. E ciò, dice l’accusa, sarebbe stato possibile anche grazie ad appoggi e contatti governativi quando a palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi; il suo responsabile dell’immagine Roberto Gasparotti li avrebbe agevolati per avere un contratto da 9 milioni di euro, tanto che poi è finito pure lui nell’elenco degli indagati. I due imprenditori hanno rapporti con Mediaset, La7, con Infront. Pagano e rimangono in cima alla lista delle società con le quali fare affari nel campo degli appalti radiotelevisivi.
Nel corso del blitz vengono trovati i contratti di assunzione che i fratelli Biancifiori hanno siglato con amici e parenti dei funzionari Rai - e dei dirigenti degli altri gruppi del settore televisivo - che li avrebbero aiutati ad ottenere le commesse. Ma anche documenti che sembrano provare il passaggio dei soldi. Viene chiesto ai responsabili dei vari uffici competenti dell’azienda di Stato se siano mai emerse anomalie, ma tutti negano l’esistenza di indagini interne.
Basta poco per scoprire che mentono. Anche perché tra le carte sequestrate ci sono quelle su un audit del settembre 2013 che riguarda proprio le società dei due fratelli Biancifiori. Si decide allora di sentire come persona informata dei fatti il responsabile dell’internal Auditing, Gianfranco Cariola e gli viene notificato il decreto di esibizione di tutti i dossier realizzati dalla Rai negli ultimi tre anni. Il 7 ottobre le 37 relazioni sono nella mani dei finanzieri. È l’inizio di un’indagine che può portare ai piani alti della Rai proprio perché negli atti analizzati dai finanzieri ci sono dati che, incrociati con quelli contenuti nei file criptati, consentono di ricostruire il percorso dei soldi, compreso il trasferimento di fondi all’estero proprio per soddisfare le richieste di alcuni dirigenti.
Le società dei Biancifiori hanno un ruolo dominante nell’aggiudicazione dei lavori per il montaggio delle apparecchiature tecniche, ma i controlli ordinati dalla magistratura riguardano ormai tutte le ditte che nei diversi settori risultano privilegiate rispetto alle altre, quelle che - almeno a leggere i documenti contabili - potrebbero aver creato «fondi neri» proprio per destinarli al pagamento delle tangenti. E dunque si intrecciano con il ruolo ricoperto dai vari funzionari e dirigenti che se ne sono occupati.
Ora, passi che si voglia in qualche maniera garantire una sorta di “riserva di caccia” alla politica, ma che questo sia ancora una volta realizzato a scapito dei cittadini che si trovano obbligati a pagare una tassa su un carrozzone inefficiente e strapieno di incompetenti (dato che è acclarato dai dati finanziari sopra riportati) ma che questo sia realizzato tramite un’operazione anticostituzionale passa ogni limite.
Del resto il fatto che vi sia una perdita secca si giustifica anche con i cachet stellari (ed inglistificati, aggiungo) che alcuni programmi garantiscono ai cosiddetti “ospiti”: il compenso da 24 mila euro netti pagato dalla trasmissione Che tempo che fa a Yanis Varoufakis per la sua partecipazione alla puntata dello scorso 27 settembre, confermato anche dal diretto interessato sul suo blog in cui ha risposto alle accuse di alcuni media inglesi e britannici - tra cui Times of London e Telegraph - sui suoi compensi per incontri e convegni, pubblicando la nota spese di tutti gli eventi pubblici cui ha partecipato dopo le dimissioni di luglio.
Per la cronaca, la Rai è l’unica tv ad aver pagato una cifra così ingente all’ex ministro greco: quando questi ha partecipato al seguito programma “Question Time” sulla Bbc inglese (TV pubblica) non ha percepito un euro e il viaggio offertogli è stato in classe Economy.
A nulla vale la comunicazione della Rai che afferma che il cachet corrisposto è stato erogato da Endemol (la società di orbita Mediaset che produce “Che tempo che fa”, e anche qui ci si dovrebbe chiedere come sia possibile produrre programmi all’esterno di una società che dispone di risorse interne già enormemente sovradimensionate per gestire tutti le produzioni dall’interno…) all’interno di un budget pianificato.
Domandina domandina: ma la BBC è gestita da marziani o in RAI si possono permettere budget milionari per pagare gli ospiti ? La nota vicenda di “Affari tuoi” (sempre una produzione Endemol) vi potrebbe fornire ampia documentazione a riguardo…
Del resto che la legislazione TV sia estremamente favorevole ai “privati” è cosa non solo risaputa, ma anche scandalosamente politicizzata: come probabilmente saprete, dati alla mano, le concessioni radiotelevisive costano a Mediaset e a La7 solo l’uno per cento del fatturato che ne ricavano grazie alla famigerata legge "dell'1%" (legge 488 art.27 comma 9 23/12/1999) introdotta dal governo D’Alema e mai più rivisitata dai successivi governi.
Ergo, dalla concessione TV lo stato ha incassa da Mediaset (nel 2012) 37 milioni di euro… assurdo, vero ?
Le frequenze su cui trasmettono le TV sono infatti proprietà pubblica che teoricamente andrebbe data in concessione a chiunque ne faccia richiesta con il massimo del vantaggio della collettività: tenuto conto del fatto che la pressione fiscale media Italiana è del 47% circa, la logica vorrebbe che la maggior parte dei guadagni finisse nelle casse dello Stato, mentre a conti fatti, Mediaset attraverso RTI trattiene il 99% dei ricavi che ne ottiene: se consideriamo il rapporto con altre concessioni, quella televisiva (con un volume d'affari da capogiro: nel 2007 il solo gruppo Mediaset ha fatturato 4 miliardi di Euro...) è la più conveniente in assoluto oltre che quella con maggiori criticità dal punto di vista dell’impatto sulla politica.
Verrebbe da chiedersi come mai i governi di sinistra a partire da D’Alema e Prodi non abbiano chiara questa condizione di stortura tutta italiana e di conseguenza non abbiano provveduto a regolare, a favore della collettività, una situazione che oltre a prevedere guadagni economici immensi garantisce una posizione di monopolio del mercato televisivo italiano.
Ora, diciamo che in luogo dell’1% del giro di affari (che ovviamente si basa sulla fiducia rispetto alla correttezza delle dichiarazioni di una società privata che peraltro ha tutto l’interesse a dichiarare un fatturato il più basso possibile) si fissi un costo annuale di concessione pari a 80 milioni di sterline a frequenza, cioè quello che viene pagato dalla TV ITV in Inghilterra per usufruire della frequenza di trasmissione.
Ricordiamo che nel 2002 gli operatori di telefonia mobile Umts hanno pagato 11 miliardi di euro allo stato e non per acquistare le frequenze, ma solo per avere il diritto di utilizzarle.
Invece le frequenze tv, in Italia non sono state pagate nulla: sono state occupate nella più totale assenza di regole al punto che poi, quando le regole sono arrivate, si sono limitate a stabilire la legalità dell' esistente e chi le aveva se le è tenute senza sborsare una lira.
Oltretutto queste frequenze si sono anche potute vendere: quelli che hanno occupato l’etere hanno pagato allo Stato solo l'Iva della transazione (al 20%) ed hanno incamerato il resto.
Stabilire questa premessa serve per capire l' ennesimo paradosso della giungla italiana delle tv per cui se si va in giro per l' Europa a chiedere quanto pagano le tv allo Stato per l' uso delle frequenze, si ottiene la strabiliante risposta che in Italia i network pagano un canone annuo dell' 1% sui ricavi mentre all' estero no.
Una risposta falsa: Itv, il network in cui Rupert Murdoch ha il 10%, essendone il maggiore azionista, paga un' ottantina di milioni di sterline mentre Channel Five, che fa capo al gruppo tedesco Rtl, molto più piccolo in termini di ascolti, ne paga una decina.
In Inghilterra si paga il canone ? Sì, ma la BBC è in attivo grazie alla pubblicità (che viene fatta, escluso BBC1) e lo stato riceve dalle frequenze TV circa 600 milioni di sterline l’anno per un utile complessivo di circa 645 milioni di sterline annue.
In Italia, invece, le concessioni TV fruttano allo stato complessivamente 55 milioni di euro mentre la RAI ne perde mediamente 250 l’anno… quindi un valore complessivo pari a 195 milioni di perdita.
Ora, facciamo un gioco.
Ipotizziamo che da domani si vendano le prime due reti RAI (diciamo per un controvalore economico di 2-3 miliardi di euro, direi regalate tenuto conto che ITV oggi viene valutata circa 3 miliardi di sterline) utilizzando RAI tre per l’informazione locale e per la comunicazione politica senza pubblicità o con un tetto temporale estremamente limitato (diciamo al massimo il 5% del tempo complessivo) in modo da garantire una sostanziale copertura .
Disporremmo di sei reti private che, equiparando il valore di pagamento a quello inglese, si troverebbero a pagare 110 milioni di euro per la concessione e su cui si potrebbe accettare uno sconto con un ricavo di 600 milioni di euro, da aggiungere alle frequenze di Pay TV (Sky) per l’identico costo (100 milioni) con un complessivo di 700 milioni di euro.
Fatti i conti ? ipotizzando un canone di possesso di impianti radiotelevisivi TV di 48 euro l’anno (ovviamente su base volontaria) si ottiene un totale stimabile in circa 1 miliardo, che sommato ai precedenti 700 fa un utile finanziario pari a 1 miliardo e 700 milioni oltre agli incassi una tantum di 2-3 miliardi per Rai 1 e Rai 2.
Qui sta la modesta proposta.
Gentilmente dal governo qualcuno ci spiega come sia possibile decidere un’azione incostituzionale come l’obbligo di pagare il canone in bolletta elettrica e non pensare ad una simile soluzione che è elegante e (peraltro) rappresenterebbe una scelta politica di giustizia attesi i margini miliardari delle tv ?
Ovviamente ripetendo che a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina…
Axel
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