Magazine Diario personale

Abburrazzimammasutulu

Da Meandy
Abburrazzimammasutulu
Esce in veranda sempre dopo cena, più o meno alle sei e un quarto.
Ha le maniche corte anche d'inverno, le braccia grosse di chi ha lavorato sodo, mica ticchettato sulla tastiera come la maggior parte di noi. La faccia rossa e rugosa, costante inglese, e una capigliatura scura interrotta da chiazze grigie che rivela una probabile origine latina. Porta ciabatte e calzetti, e a volte infradito gialle, che strizzano i suoi piedi grassi in qualcosa di simile a uno sformato di prosciutto cotto.
Si siede in veranda, si tocca, alza la gamba come fanno i cani prima di fare la pipì ma, invece di produrre una pioggia dorata, fa scendere il pantalone di flanella.
Poi, sgranchitosi la voce, pronuncia la seguente frase: Abburrazzimammasutulu.
No, non è un personaggio della mia fantasia, ne un pazzo fuggito da qualche manicomio. Neppure una candid camera, una voce registrata, la cassetta del The Best of Nino D'Angelo.
E' figlio di napoletani immigrati a Londra cinquant'anni fa.

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