Guardo
sempre con molta curiosità le immagini di pesci ed altre bestie abissali.
Il
progresso tecnologico permette allo scienziato di arrivare a distanze prima
inimmaginabili; oggi si praticano carotaggi su Marte e si pescano super
crostacei a sette chilometri di profondità; questi sono belli pasciuti e non
nego di essere incuriosito anche dal punto di vista gastronomico.
La
singolarità di queste moderne "catture" mi colpisce, non tanto per
l'aspetto di questi esseri, ma per la loro provenienza: l'abisso.
Gli abissi
nella nostra esistenza discendono tutti da un concetto primigenio, sono
anzitutto declinazioni di un'idea. Vi sono gli abissi marini, profondità
impressionanti dove non vi è luce, né ossigeno.
Vi sono
poi gli abissi esplorabili della terra emersa e quelli sotterranei laddove,
potendo percorrere a ritroso il percorso del magma, ci si troverebbe a nuotare
nel mare magnum di pietra fusa, il ribollire dell'indifferenziato, la pietra
liquida staminale del pianeta.
Da questi
ambienti si ripescano creature mostruose, simili alle chimere conservate nei
musei, dai grandi occhi vetrosi, dalle fauci sproporzionate, dai colori
lattiginosi, che disperatamente virano verso il bianco, perché laggiù manca la
luce.
Probabilmente,
anche l'esplorazione dell'oceano magmatico ci darebbe sorprese analoghe dal
punto di vista chimico; mi permetto perciò un parallelo irresponsabile, fra
elemento, molecola e organismo vivente.
Vi sono
poi gli abissi impalpabili della profondità umana e animale. L'inconscio
individuale, che, similmente al magma vulcanico, seguendo percorsi eterei di
minor resistenza si tuffa nel grande mondo collettivo.
Anche da
quest'ultimo riaffiorano immagini talvolta curiose, oppure agghiaccianti.
Esseri orrendi, antropomorfi o bestiformi, insettoidi raggelanti e ibridazioni
fra esseri organici e macchinari, sbuffanti e stantuffanti, che rimandano alle
visioni da DMT, al sorprendente succo del Bufo, raccontate dal compianto Jerry
Garcia. Il simpatico Bufo, inoltre, incarna alla perfezione l'idea della
creatura abissale e la incarna perché indossa l'unico abito possibile, nel
pieno rispetto della natura delle cose. E' il rospo, infatti, che mi gracida
alla porta unicamente di notte, avvolto dall’alone umido che il giorno poi
dissolve; il rospo forse m'invita a scorrazzare fra gli abissi della mia
esistenza, siano essi in me, o all’esterno.
L'unico
ostacolo interposto fra me ed il rospo è la più materiale quotidianità,
l'impossibilità nel vivere sia l'abisso, che la luce. L'uno invade l'altro, lo
minaccia, lo inquina.
Fra gli
abissi si incontra quindi la notte oscura, ambiente assai sorprendente, se si
considera che il giorno e la notte sono due acconciature della stessa modella,
eppure non tutte le differenze sono conosciute, poiché alcune sono
ostinatamente ignorate, come il silenzio imposto dalla pallida e zoppa luce
lunare, in contrasto con la sarabanda diurna di fratello sole.
Anche la
notte, insomma, brulica di esseri confinati nell'abisso oscuro, che al sole
scompaiono come vampiri, oppure assumono un aspetto meno spaventoso, mantenendo
un certo grado di ripugnanza esclusivamente per fattori di tipo comportamentale
o igienico. Aggiungo che l’abisso notturno (o l’abisso del silenzio, anche
diurno) ci regala l’intuizione.
Fino alla
noia devo citare Borges (è d'obbligo), per il quale "Le notti sono onde
superbe: neroazzurre pesanti onde cariche d'ogni sfumatura di fondi detriti e
di cose improbabili e desiderabili. Le notti son solite arrecare misteriosi
doni e rifiuti, oggetti a metà ceduti a metà trattenuti, gioie con un emisfero
oscuro.".
Il caro vecchio
Nietzsche ammonì che, scrutando a lungo nell'abisso, l'abisso scruterà in noi;
come se questi si accorgesse, si volgesse verso di noi. Il celeberrimo occhio
di Sauron vede ciò che ricade nel suo campo visivo. E' un rapporto, per certi
rispetti, leale. La vista dell’abisso non trapassa le montagne; al limite ci guarda
di sottecchi.
Gli abissi
sono vivi, è chiaro. Non solo perché sono percorsi da abitanti, non è vita
riflessa, ma propria. Gli abissi non sono soltanto nere spelonche.
All'abisso
strappiamo degli abitanti, ma l'abisso talvolta ce li dona, spiaggiati la
mattina sul cuscino o lungo i marciapiedi. Non è un atto di generosità; è un
reflusso gastrico.
Concludendo
la mia povera riflessione: perché, visto che le correnti abissali ci recapitano
anche regali preziosi, l’accezione comune del termine è negativa? Perché, per l’essere
umano, l’abisso è soltanto il tremendo digestore, sul quale bordo si sosta prossimi
alla fine?
Ecco che,
il mattino, la nostra scarsa familiarità col discernimento ci condanna.
Io fatico,
all’alba, a differenziare i doni degli abissi.
Dovrei
scartare le sorprese diaboliche, tentatrici, pericolose e tenermi i gioielli d’incalcolabile
valore, come l’ambra grigia del mio personale abisso.
Dovrei (e
dovremmo) imparare a riconoscere i doni, fra i rifiuti. Le ossute vacche di
Calcutta, che pascolano sulle distese d’immondizia, vivono dei doni di un abisso.
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