In questo articolo vogliamo evidenziare come la tanto sbandierata riforma di abolizione delle province si riveli, nella realtà dei fatti e dei numeri, una riforma a metà costruita a fini meramente elettorali. Le provincie non saranno abolite ma riformate, aumenteranno le città metropolitane, come aumenteranno il numero di consiglieri comunali e assessori nei piccoli e piccolissimi comuni, una distribuzione di circa 25mila cariche pubbliche, mentre il risparmio generale per lo Stato sarà modestissimo, attorno ai 150 milioni di euro.
La notizia economica principale di queste settimane è stato il passaggio al Senato del decreto legge sull’abolizione delle Provincie. Il così detto “decreto Del Rio”, è stato approvato al Senato la settimana scorsa con 160 voti favorevoli e 133 contrari, nessun astenuto.
Cosa prevede il decreto
A dispetto della grancassa mediatica e della propaganda del governo sulle riforme da effettuare, il disegno di legge non prevede affatto l’abolizione delle provincie, ma bensì una loro riforma. Questo ad un qualsiasi costituzionalista potrà sembrare ovvio, in quanto per eliminare completamente le Provincie ci sarebbe voluta una riforma della Costituzione e non un decreto legge, anche se costituzionale. Se si va a leggere il testo della legge infatti, si viene a scoprire che le amministrazioni locali saranno categorizzate in: città metropolitane, province, unioni di comuni e comuni. Le province, non saranno quindi abolite ma avranno funzioni limitate e saranno gestite dai primi cittadini locali, non più da funzionari provinciali e da giunte specifiche. Inoltre, le giunte provinciali rimarranno e, oltre il danno la beffa, non saranno nemmeno più elette direttamente dai cittadini. Le provincie quindi verranno praticamente svuotate dalla rappresentanza politica, ma rimarranno in capo ad esse ancora numerose attività, soprattutto del settore dei trasporti, nella costruzione e gestione delle strade provinciali e insieme ai comuni nell’edilizia scolastica.
Città metropolitane
Il decreto oltre a questa rimodulazione delle province, prevede la costituzione di nuove città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. A queste sia aggiunge, con alcune specificità, Roma capitale. Queste nove città si vanno ad aggiungere a quelle già istituite dalle Regioni a statuto speciale tra cui: Palermo, Catania, Messina, Cagliari e Trieste. Le città metropolitane avranno fondamentalmente la funzione delle province con il sindaco del capoluogo che diventerà sindaco metropolitano. Il consiglio metropolitano verrà composto dal sindaco metropolitano e da: 24 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione superiore a 3 milioni di abitanti, 18 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione superiore a 800mila persone e inferiore o pari a 3 milioni di abitanti, 14 consiglieri nelle città con popolazione inferiore a 800mila abitanti.
Piccoli consigli comunali crescono
Come spesso accade la vera natura di molti decreti legge la si deve ricercare nei commi, in questo caso al comma 27, dove si fa riferimento alla “ricomposizione dei consigli comunali”. Come giustamente sottolineato dal Fatto Quotidiano, nel nuovo articolo 28 della legge vengono elencate una serie di disposizioni per un aumento del numero dei consiglieri comunali e degli assessori comunali per i Comuni fino a 3mila e fino a 10mila abitanti. Con la nuova legge le fasce dei piccoli comuni sono state semplificate in due, quelli sotto i 3000 e quelli tra i 3000 e i 10000. In questa maniera nella prima fascia il consiglio comunale sarà composto, oltre che dal sindaco, da 10 consiglieri e un numero massimo di due assessori, mentre per quelli fino a 10mila si passa a 12, più quattro assessori. Un netto aumento rispetto alla riforma Calderoli che prevedeva:
- 6 consiglieri per i Comuni fino a 1000 abitanti;
- 6 consiglieri e due assessori per i Comuni tra i mille e i 3mila abitanti;
- 7 consiglieri e 3 assessori per i Comuni tra i 3mila e i 5mila abitanti;
- 10 consiglieri e 4 assessori per i Comuni tra i 5mila e i 10mila abitanti;
Come possiamo vedere la semplificazione c’è stata, ma verso l’alto, un’incredibile distribuzione di mini poltrone e posti pubblici, basata essenzialmente su puro calcolo politico/elettorale.
Pesanti critiche di Boeri al disegno di legge
Non ha fatto mancare pesanti critiche al disegno di legge nemmeno l’economista Tito Boeri, che in un articolo pubblicato su lavoce.info. Nel articolo l’economista sottolinea che stando al testo di legge le prospettive di risparmi effettive per lo Stato saranno minime dato che né dipendenti né funzioni delle ex province scompariranno e, di conseguenza, neanche i costi relativi, la stragrande maggioranza delle spese di questo livello di governo. E dato che come abbiamo visto le province rimangono in vita, anche se la dirigenza politica è ora espressa in modo indiretto, non si riducono neanche le spese di rappresentanza degli altri enti territoriali e del governo presso le province. I veri risprmi, calcola Boeri, si aggireranno attorno ai 150 milioni di euro, sommando l’eliminazione del finanziamento degli organi istituzionali e le spese relative alle elezioni provinciali. Una cifra quasi insignificante di fronte alla spesa pubblica complessiva di 800 miliardi di euro. Rispetto alla riforma dei consigli dei piccoli comuni, Boeri non solo evidenzia i circa 25 mila posti pubblici in più creati dalla legge, che stando al governo verrebbero creati “senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”, ma inoltre rinfaccia all’esecutivo il mancato coraggio di non essere andati più a fondo: “Visto che per i piccoli comuni la gestione di tutti i servizi fondamentali in forma associata diventa obbligatoria, non si capisce bene perché non prevederne direttamente la fusione”
La legge appare a sempre più numerosi osservatori come una riforma a metà – lo stesso Boeri si domanda perché non sia previsto che, una volta abolite le province sul piano costituzionale, tutte le funzioni e risorse passassero direttamente alle Regioni? - costruita per fini meramente politici in vista delle elezioni europee di maggio e per esibire un decisionismo e un attivismo di facciata. Questa legge non solo non abolisce la province, ma garantisce un risparmio insignificante e inversamente aumenta i posti pubblici.