Aborto e obiezione di coscienza

Da Aquilanonvedente

Mi è capitato in mano oggi un articolo di giornale di qualche settimana fa, in occasione del convegno nazionale tenutosi a Roma della LAIGA (Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194).

Pare che in Italia oltre il 70% dei ginecologi si dichiari obiettore di coscienza e pertanto, se prosegue questo trend, l’applicazione della legge 194 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza“, la legge sull’aborto, come viene volgarmente definita), già oggi difficile, verrà seriamente messa in discussione. Pare che i medici non obiettori siano emarginati, penalizzati nella carriera, guardati in cagnesco dai colleghi.

Ora, non intendo certo aprire una discussione sull’aborto, sul dramma che rappresenta per la donna, sull’efficacia della legge 194 e via dicendo.

Intendo soltanto notare che qualificare come omicidio, in base a un convincimento religioso, un’attività consentita (a determinate condizioni) dallo Stato e quindi essere autorizzati a non esercitarla, mi sembra una pura follia.

Un medico non vuole esercitare una determinata attività? Cambi mestiere.

Sarebbe come se un tabaccaio si rifiutasse di vendere le sigarette, pretendendo di mantenere la propria privativa.

E’ uno dei casi nei quali lo Stato si ritira, con la coda tra le gambe, di fronte a un bislacco modo di intendere la religione.

Ma forse il difetto sta proprio in quest’ultima…



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