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A volte basta una buona idea per supplire mancanze più pratiche, come quelle di budget, ad esempio. Si dice così, no? Beh, non è sempre o del tutto vero, perché una buona idea non può sopperire mancanze tecniche o una realizzazione mediocre e avere un'idea che valga la pena realizzare è una cosa, saperlo fare è un'altra. Mike Flanagan, ad esempio, nonostante abbia sempre piccoli budget per la realizzazione dei suoi film, supplisce questa mancanza con il talento. Quello vero.Chi è Mike Flanagan? Davvero non lo conoscete? Allora bisogna subito rimediare. Flanagan è un regista horror di trentaquattro anni che, guarda un po', è nato a Salem, in Massachusetts. Segno del destino? Può darsi. E' entrato nel mondo del cinema nel 2000 e da quel giorno non ne è più uscito, realizzando una manciata di film fino al 2011, anno della sua ultima creatura: Absentia.
Tricia e Callie sono due sorelle. La prima era sposata, ma suo marito Daniel è scomparso ormai da sette anni e Tricia è sul punto di firmare il documento che sancisce la sua "morte inabsentia". Callie va a trovarla nel piccolo quartiere di Los Angeles in cui vive per aiutarla a traslocare, lei che in passato ha avuto problemi di droga e adesso ha scoperto Gesù. Ma in quel quartiere anche altre persone sono scomparse misteriosamente e tutto sembra essere legato ad uno squallido tunnel in fondo alla strada.
Voi cosa fareste con 70.000 dollari? Io non lo so, ma sicuramente Flanagan ci ha fatto un film. 70.000 dollari. Lui di Absentia è tutto: lo ha scritto, lo ha diretto e lo ha prodotto. Poi tu cerchi il suo film (in rete, che qui da noi non è arrivato e non arriverà mai), lo trovi, lo guardi e poi pensi: ho paura. Perché? Perché c'è qualcosa che tocca corde intime in questa pellicola, che le afferra, le fa vibrare e il freddo infine sale dalle ginocchia alla testa, lasciando di sasso lo spettatore.
Il punto di partenza poi è già di per se terrificante: persone in un quartiere di Los Angeles (non Bagdad, Cracovia o uno sperduto paesino del Sud America) scompaiono senza lasciare traccia. Una donna attacca ai muri e ai pali della luce la foto di suo marito. Un giorno è uscito e non è più tornato e dopo sette anni lei non ha ancora smesso di cercarlo. Più per abitudine che per speranza. La speranza ormai è chiusa a chiave in un cassetto e la chiave è stata buttata da qualche parte. Sua sorella invece corre ogni mattina e prega ogni sera. In fondo alla strada un tunnel illuminato da neon sbiaditi osserva la loro casa come un occhio cieco e ingoia persone come fosse la bocca di un animale famelico. A noi basta guardarlo per capire che c'è qualcosa che non va, lì dentro. Quando Callie lo attraversa correndo con alle orecchie i suoi auricolari, noi capiamo che non dovrebbe farlo. Anche se poi non succede niente.
"Tu mi vedi? Tu puoi vedermi?"
C'è qualcosa di assolutamente malsano nell'attesa dell'orrore. L'ansia che si accumula fino a divenire un peso insostenibile. A quel punto basta il minimo rumore, il minimo movimento percepito con la coda dell'occhio per farci sussultare. Poi, in pieno stile J-horror, l'orrore si palesa e arrivano visioni, occhi che ti guardano, bocche che parlano senza emettere rumori. L'orrore è ovunque, ai piedi di un letto o dentro ad un armadio, bianco come un lenzuolo e un muto fantasma. Tanto basterebbe per volersi mettere le mani davanti agli occhi. E quando la strada intrapresa sembra essere a senso unico, Flanagan cambia le carte in tavola, posiziona un colpo di scena a metà del film e ci fa capire che il suo disegno ha delle geometrie precise e che lui, oltre ad avere delle idee, sa fare cinema. Un cinema minimalista per forza di cose, privo di barocchismi inutili, che visto i pochi dollari di budget non può fare affidamenti sull'eccesso e deve puntare sull'essenziale. E, perché no, un film che possiede una propria poetica, quasi un'anima autoriale.
In Absentia c'è Lovecraft, c'è l'altrove e ci sono le divinità esterne che ti prendono e ti portano via. C'è il mostro (un demone? Lo scarabeo egizio?) che esce dalle "fottute pareti" e il rumore di zampe dietro le tende della doccia che ti ghiaccia il sangue. Un film lento che si prende il tempo di cui ha bisogno per raccontare i personaggi senza farsi raccontare dai personaggi. Ma che non ha il tempo di rispondere a tutte le domande che solleva, perché questo avrebbe voluto dire far cose di cui non sarebbe stato capace. Come avrebbe potuto? Absentia paga i pochi mezzi a disposizione e si perde quando c'è da chiudere il cerchio, quando un effetto visivo avrebbe potuto fare la differenza e quando tutti i nodi non vengono al pettine. Ci sono errori, imprecisioni e cose messe lì perché lo fanno funzionare, ma solo fino a un certo punto. Ripeto: problemi di budget. Ma posso dirlo? Non importa: Callie (Katie Parker, che non dovrei dirlo ma io trovo bellissima) che urla in un tunnel la sua disperazione o che corre controluce sul confine tra un mondo e l'altro, Tricia (Courtney Bell), donna in cinta che medita ossessionata dal fantasma di suo marito, da un rimorso e da un dolore indescrivibili. I primi piani che dicono tutto, il voyerismo che ci mostra i personaggi in tutta la loro fragilità, l'atmosfera malsana che corre sottopelle, che fa tremare e alza il livello di adrenalina anche solo con la camera ferma a fissare il buio, che ci perseguita dopo che l'ultimo dei titoli di coda è scivolato sullo schermo. Queste sono cose che i soldi non possono comprare. Questo è talento. Questo è cinema.
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