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La sequenza iniziale di A.C.A.B. dice già molto. I tre protagonisti, tre celerini del reparto mobile di Roma, vengono filmati fuori servizio. Favino mena, dopo averlo ammanettato, un automobilista ubriaco che lo aveva investito. Nigro starebbe facendo la spesa al supermercato con la figlioletta ma finisce per minacciare uno spacciatore fuori il negozio. Giallini va a recuperare il figlio al commissariato dopo una rissa con ragazzi dei centri sociali. Circa 10 minuti che agguantano subito l'attenzione dello spettatore e mettono le premesse per inchiodarlo alla poltrona per tutta la durata del film. Stefano Sollima esordisce così al cinema dopo il successo della serie tv ispirata a "Romanzo criminale". Lo fa con un film forte, che farà discutere chiaramente.La pellicola è ispirata all'omonimo libro scritto da Carlo Bonini, giornalista di Repubblica, che racconta le storie vere di membri della squadra mobile. Il film raccoglie questo materiale per trasfiguralo in una narrazione consona ai tempi e al linguaggio cinematografici, lasciando sullo sfondo fatti veri di cronaca ripresi dalle inchieste di Bonini (cenni al G8 di Genova, poi l'uccisione dell'ispettore Filippo Raciti a Catania e del tifoso della Lazio Gabriele Sandri) e inserendoci le storie fittizie dei tre poliziotti che ricalcano comunque i racconti del libro. Sollima ha ben chiaro quanto vuole mostrare e lo fa con uno stile lucido e un ritmo serrato che non possono non essere lodati. La macchina da presa segue da vicino queste tre esistenze, strette tra le morse di ideologie ottuse, la durezza del lavoro quotidiano, l'odio e la violenza che respirano giorno dopo giorno. I tre poliziotti fronteggiano quotidianamente situazioni ad alto rischio: dalle proteste sindacali, ai servizi d'ordine agli stadi, allo sgombero di case occupate e di campi rom. Sanno cos'è la guerriglia urbana e vivono, diciamolo, in un inferno di cemento, tifosi agguerriti e strade. Tutto questo aiuta a inquadrare la vita di persone molto spesso viste in modo spersonalizzato, come burattini, pedine utilizzate dai più potenti come loro braccio "operativo". Dietro caschi e divise, ci sono però uomini con i loro vissuti, le loro tragedie familiari ed esistenziali. Fino a qui arriva la comprensione e la "umanizzazione" dei personaggi. Poi il film non risparmia la denuncia di comportamenti e azioni assolutamente scandalosi commessi dagli stessi soggetti, schiavi di una forma mentis dichiaratamente fascista. I tre celerini sposano le cause della fratellanza senza sè e senza ma, dell'ordine e della "legalità", salvo poi comportarsi, nessuno escluso, in modo imperdonabile. C'è chi picchia la moglie e trascura la figlia, chi accumula denunce su denunce per aggressioni aggravate gratuite, chi vuole fare giustizia personale e preventiva, chi per arrotondare (1.200 euro al mese per rischiare vita e salute in effetti non sono tantissimi) fa servizio d'ordine nelle discoteche e non lo potrebbe fare.Sollima mette molto nel calderone e lo armonizza narrativamente più o meno bene, senza rivelare una posizione forzata sull'intera vicenda. Non ci sono eroi, buoni e cattivi. C'è un enorme disagio sociale a cui nessuno (forse questa l'unica vera implicita presa di posizione) mette mano, con la classe politica e dirigenziale italiana totalmente assente. Si scava molto nelle viscere più popolari di un paese che, ideologie a parte, deve combattere sempre con situazioni mai risolte. E' la fotografia della solita Italia che aspetta la tragedia (la donna violentata, la morte del poliziotto o del tifoso, lo sgombero violento) per fare un qualcosa che alla fine è sempre un niente. Cosa resta? Resta chi, preso dall'esasperazione e dall'ignoranza, inizia a farsi giustizia da sé, la conseguenza più aberrante per un paese che si vuole democratico e per uno stato di diritto. Il film sembra quasi un thriller dato il carico di tensione che lo pervade dall'inizio alla fine, anche se l'intrigo manca. Il cast è stellare e diretto perfettamente. Favino si conferma una volta e di più il migliore attore della sua generazione. Marco Giallini, a breve anche nel film di Carlo Verdone, è eccezionale. Filippo Nigro, Domenico Diele e Andrea Sartoretti non deludono.
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