ACAB (All Cops Are Bastard): I tatuaggi dei carcerati

Creato il 17 febbraio 2014 da Valeria Vite @Valivi92

L’amicizia con Manuel, un simpatico trentenne conosciuto in ospedale, continua con una lezione sul ruolo del tatuaggio nelle carceri italiane e… siberiane.

Immagine tratta da qui

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Un tatuaggio da galeotto non è solo un tatuaggio. Un tatuaggio da galeotto, fatto da un vero carcerato mentre sconta la sua pena, è gesto di sfogo, un simbolo di riconoscimento tra detenuti o un atto di protesta contro la crudeltà della galera.

Provate un po’ a pensare al detenuto medio: un giovane spacciatore italiano condannato a tre anni che, dopo sei mesi di galera, decide di marchiare la propria frustrazione sulla propria carne. Se per ogni appassionato di tatuaggi la pelle è una tela su cui raccontare la propria storia, per il carcerato si trasforma in un manifesto di carta straccia, con cui dichiarare pubblicamente la propria condanna ad una non-vita di botte, sbarre e cemento.

La Bibbia di riferimento per comprendere appieno il ruolo del tatuaggio nel mondo della detenzione è Educazione Siberiana di Nicolai Lilin (un libro che personalmente non ho mai letto, ma che la mia fonte cita per aiutarmi a comprendere un universo così distante dalla mia realtà), nel quale si racconta che il tatuaggio in prigione è una vera e propria carta d’identità del criminale, in quanto consente agli altri detenuti di conoscere l’identità del compagno, il reato che ha commesso e, soprattutto, decidere se la sua presenza in galera può essere tollerata o se deve essere eliminato come spia. I tatuaggi metaforici sono poi numerosissimi: le stelle sulle ginocchia, per esempio, indicano l’appartenenza alla mafia russa, in quanto un uomo forte non si inginocchierebbe di fronte a niente.

In Italia la situazione è molto meno cruenta rispetto ai penitenziari russi, infatti secondo la mia fonte farsi un tatuaggio in una galera italiana è solamente un modo per ammazzare un tempo che non passa mai. L’azione stessa di farsi un tatuaggio dietro le sbarre è inoltre una straordinaria prova di coraggio e ribellione poiché si tratta di un’infrazione estremamente grave: essendo considerato dal regolamento carcerario un atto di autolesionismo, prevede l’annullamento dei 45 giorni di condono ottenuti ogni volta che si trascorrono sei mesi consecutivi in buona condotta.

Anche in Italia i significati dei tatuaggi sono vari, molteplici e spesso … pericolosi! La mia fonte ha paura a riferirmi i significati di molti tatuaggi galeotti, soprattutto dei simboli delle varie famiglie carcerarie di stampo mafioso; mi avverte invece di diffidare da chi si tatua delle lacrime che, come nella maschera di Pulcinella, sgorgano verso l’esterno anziché lungo i lati del naso come nella realtà, poiché tale personaggio potrebbe avere ucciso una persona.

Il tatuaggio da galeotto si contraddistingue per lo stile “casereccio” con cui viene realizzato. Innanzi tutto la location in cui si svolge l’operazione non è un accogliente negozio del centro ma una squallida cella di quattro metri quadrati, che il prigioniero divide con altri cinque detenuti. Il comodo lettino su cui il tatuatore autorizzato vi chiede di sdraiarvi prima di iniziare l’operazione non è altro che la vostra brandina; se il disegno da realizzare è invece di piccole dimensioni, potete distendere la parte del corpo interessata sul tavolaccio su cui mangiate. Scordatevi le poltroncine imbottite in una sala d’attesa con la musica di sottofondo, i cataloghi con i disegni, l’ago sterilizzato, le garze, l’inchiostro specifico e il disinfettante: in cella questi privilegi sono inesistenti e il detenuto deve accontentarsi dello scarso materiale a disposizione:

  • Un ago da cucito;
  • Un accendino;
  • Un piccolo pezzo di filo di stagno;
  • Un pennarello Uniposca;
  • Un walkman o un oggetto dotato di un impianto elettronico simile;
  • Due pile a stilo, solitamente quelle del telecomando del televisore;
  • Un televisore funzionante;
  • Un compagno di cella che faccia il palo;
  • Un dopobarba;
  • Un po’ di crema idratante;
  • Domopack.

Una volta reperiti tutti gli attrezzi necessari, non vi resta che mettervi all’opera. E’ essenziale evitare di attirare l’attenzione dei secondini, perciò un compagno di cella volenteroso farà il palo per voi posizionandosi di fronte alla porta ferrata, nella tipica posizione con i polsi a penzoloni che sicuramente avrete visto nei film o al telegiornale. Il vostro amico nasconderà agli occhi esterni ciò che sta avvenendo all’interno della cella e vi avvertirà quando avvisterà una guardia carceraria in avvicinamento confidando nel fatto che, qualora il vostro piano dovesse andare storto, voi non farete il suo nome.

Dopo aver detto addio al vostro walkman ed ascoltato per l’ultima volta la vostra canzone preferita, dovete estrarre il motore del piccolo elettrodomestico dall’involucro di plastica: poiché non disponete di un cacciavite o di una cassetta degli attrezzi, la sola soluzione possibile è spaccare il walkman scagliandolo più volte sul pavimento e aiutandovi con le unghie. Scaldate ora il filo di stagno con l’accendino e utilizzatelo per saldare l’ago al motorino del walkman, dopodiché create un circuito chiuso con le pile del telecomando per azionare il dispositivo. Se siete stati dei bravi tuttofare, ora dovreste avere una piccola macchinetta da tatuatore fai-da-te che, una volta azionata, farà vibrare l’ago che inciderà la vostra pelle.

Estraete ora l’inchiostro nero dall’Uniposka e mischiatelo al dopobarba, il cui alcool è il disinfettante più potente a vostra disposizione, sino ad ottenere una miscela omogenea. Ora siete pronti per incidervi il tatuaggio nel derma. Intingete l’ago nella mistura, avvicinatelo alla pelle e … accendete il televisore! Sì, amici carcerati, se pensavate di essere pronti per realizzare il vostro tatuaggio vi siete sbagliati di grosso: siccome la macchinetta produce un ronzio che potrebbe insospettire i secondini, prima di azionarla vi conviene accendere il televisore e alzare il volume sino al massimo consentito dal regolamento carcerario (ebbene sì, quegli stronzi vi hanno tarato pure l’audio della tv). Ora che l’audio del programma televisivo di turno copre il rumore macchinetta, potete procedere con la vostra losca attività clandestina e procedere con il tatuaggio vero e proprio.

Potete realizzare il tatuaggio da soli, farvi aiutare da un compagno di cella o chiedere aiuto ad un carcerato particolarmente bravo a disegnare. Se non avete al vostro fianco un aiutante esperto, scegliete un soggetto stilizzato, di dimensioni contenute e di facile realizzazione, oppure una scritta, in quanto ogni errore o sbavatura resterà sulla vostra pelle per sempre.

Una volta terminata l’opera dovrete stare molto attenti a mantenere pulito il tatuaggio per evitare l’insorgere di infezioni e ad idratare costantemente la pelle con una crema idratante. Se la cremina Nivea non vi sembrerà la soluzione più indicata poiché preferireste dei medicinali specifici e sicuri, vi conviene rinunciare all’impresa e recarvi da un tatuatore autorizzato una volta scontata la pena, ma così non otterrete un autentico tatuaggio da carcerato.

Adesso che sulla vostra pelle arrossata spicca il vostro tatuaggio, dovete sbarazzarvi delle prove. Avvolgete dunque lo strumento che avete creato nel Domopack più volte e nascondetelo nella vaschetta di carico del water, onde evitare spiacevoli inconvenienti durante le perquisizioni.

Ricordatevi che esistono altri sistemi per realizzare tatuaggi in prigione, certamente non più igienici di quello che mi ha illustrato la mia fonte, ma preferisco attendermi a quanto mi è stato riferito e non approfondire ulteriormente l’argomento.

La mia fonte ha scelto di tatuarsi sull’interno dell’avambraccio sinistro l’acronimo ACAB, che significa All Cops Are Bastards. L’operazione, assolutamente indolore, è durata tra dieci minuti e un quarto d’ora e le linee del disegno sono piuttosto nette, perciò il tatuaggio ha un bell’aspetto e non è stata versata nemmeno una goccia di sangue. Il significato dell’acronimo non è una mera dichiarazione di ribellione nei confronti delle guardie carcerarie, ma un omaggio all’anarchia. Quando ho chiesto ulteriori spiegazioni, la mia fonte mi ha chiesto di riportare nell’articolo il testuale slogan: – Secondo voi lettori, chi è che rovina l’italia? Quelli in giacca e cravatta o quelli con i tatuaggi? -.

Io non conosco la realtà della prigione e non me la sento di esprimere alcuna opinione sulla testimonianza della mia fonte, tuttavia ritengo che ciascuno di noi abbia il diritto di essere ascoltato e di raccontare la propria storia perciò ho scelto di scrivere questo articolo anche se non posso attestare la veridicità dei contenuti. Parlare di ciò che accade all’interno delle prigioni non i spaventa: l’Italia è popolata da tante persone tutte diverse e soltanto alcune hanno la fedina penale pulita… talvolta persino la coscienza!

Immagini tratte da weheartit.com


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