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La trama (con parole mie): Cobra, Negro e Mazinga sono tre veterani della Celere, forza di polizia chiamata in causa spesso e volentieri per sedare scontri negli stadi o durante le manifestazioni.
Tutti e tre hanno grossi problemi personali e disciplinari, e mantengono tra loro un legame quasi simbiotico che trascende il ruolo, la legge, la giustizia, la famiglia.O quasi.Perchè la Famiglia sono loro stessi.Quando una giovane recluta viene aggregata all'unità i tre si troveranno a fare da chioccia ad un ragazzo cresciuto sulla strada che li considera "bastardi" e mosso da un nuovo ideale pronto ad esplodere in seno al gruppo, orfano del vecchio commilitone Carletto, che ha lasciato per un più tranquillo posto come custode in una scuola privata ma che non dimentica i suoi "fratelli".
Considerato lo stato di salute in cui versa il Cinema italiano, mi sento di affermare a buon diritto che una cosa come ACAB sia paragonabile ad una ventata d'aria fresca, con tutte le imperfezioni che ugualmente si porta saldamente sulle spalle: a distanza siderale dai nostri cugini francesi, ultimamente toccati da una grazia quasi divina anche quando si tratta di andare a mettere le mani bene a fondo nel fango - leggasi Polisse -, il lavoro di Stefano Sollima - uno dei nomi di spicco del progetto di Romanzo criminale, una delle cose migliori prodotte dalle nostre parti negli ultimi dieci anni - esce dall'esame come una sorta di tentativo coraggioso - pur se non completamente riuscito - di fotografare una serie di disagi che percorrono ormai alla luce del sole la buona, vecchia, Terra dei cachi, tra un terremoto, una crisi e l'ennesima presa per il culo di una classe politica da tempo ben oltre ogni limite di decenza.
Le vicende di Mazinga, Cobra e Negro, esponenti totalmente disequilibrati della Celere, appaiono senza ombra di dubbio come lo specchio di un Paese che, ormai privo di identità, finisce per aggrapparsi ad un'etica spiccatamente criminale anche nel tentativo di dare un senso a termini come Legge e Famiglia: purtroppo, soprattutto in fase di script e di approfondimento dei personaggi il lavoro di Sollima si rivela troppo dozzinale e tagliato con l'accetta per riuscire a stabilire lo stesso standard della serie che vide tra i suoi protagonisti anche Andrea Sartoretti - che allora interpretò il mio favorito Bufalo, e qui si ritrova a dare volto all'ex commilitone dei protagonisti Carletto -, spesso e volentieri viziato da una voglia di andare sopra le righe decisamente eccessiva e poco realistica.
Azzeccate, al contrario, tutte le sequenze che vedono coinvolta la colonna sonora non originale, dall'incipit sulle note di Seven nation army - che noi italiani dovremmo ricordare bene, memori della vittoria ai Mondiali del 2006 - alla preparazione per la spedizione punitiva contro i responsabili del ferimento di Mazinga ritmata da Where is my mind? dei Pixies - che tutti i fan di Fight club dovrebbero avere ancora impressa nella mente e nel cuore - e soprattutto al passaggio a mio parere più riuscito dell'intera pellicola, il pogo di festeggiamento di Cobra a seguito della sua assoluzione per uno dei tanti capi d'imputazione legati all'eccessiva brutalità che paiono piovergli addosso con discreta facilità sulle note di Police on my back dei Clash, una sorta di distorto ed ironico grido liberatorio in grado di provocare un moto di partecipazione anche nel pubblico, pur risultando, a conti fatti razionalmente, una scena assolutamente agghiacciante.
E' proprio il disorientamento, la sensazione che ho provato con maggior prepotenza nel corso della visione: questi uomini, pronti a mettere a rischio le loro vite per un lavoro - quello del poliziotto - troppo spesso sfruttato dagli organi politici come "bersaglio grosso" per la rabbia della gente comune, non sono tanto diversi da quello che siamo anche noi.
In fondo, gli amici e la famiglia sono alla base delle scelte che molti fanno in ambito lavorativo e privato, e che spesso tendono ad influenzare anche il loro rapporto con il "pubblico": certo, l'esercizio del potere fisico delle forze dell'ordine imporrebbe un rigore morale ed una disciplina decisamente maggiori di quelli mostrati dai protagonisti di questa pellicola, eppure non passa minuto in cui non torni prepotentemente a galla l'interrogativo principale legato alle vicende narrate: ma davvero noi saremmo migliori di loro?
E ancora: avremmo noi le palle di dedicarci ad un mestiere così ingrato?
A prescindere dalle risposte a queste domande, l'opera di Sollima ha il grande merito di non lasciare indifferenti, andando a toccare molti nervi scoperti della nostra realtà di italiani e di uomini: i suoi "eroi" sono detestabili e quanto di più lontano possibile dal sottoscritto, eppure mostrano il fianco dell'essere padri, uomini immaturi incapaci di crescere davvero, fedeli alla loro pur distorta linea di condotta.
Lo stesso giovane nuovo aggregato al gruppo, vittima di una sorta di fidelizzazione forzata simile a quella che gli riserverebbe un clan criminale, unico a voler tentare una strada diversa, finisce per essere allontanato dall'empatia dell'audience nel momento della scelta di tradire, in una qualche pur giusta - in termini legali ed etici - misura, i compagni, insinuando il dubbio che sorge sempre nel momento in cui il concetto di "spia" vizia anche il più nobile degli intenti.
Cosa faremmo, noi?
Di certo, ci vuole un gran coraggio per scegliere di andare contro in nome di una Legge superiore.
Ma ce ne vuole anche per essere un politicante di bassa lega, e guardare in faccia qualcuno che può credere in te snocciolando false promesse.
Per essere in prima linea da una parte o dall'altra della barricata, mentre qualcuno, ai piani alti, si gode il paesaggio del massacro finendo per intervenire soltanto quando qualcuno decide di alzare troppo la voce.
O ci scappa il morto e si è costretti a dare giustificazione - terribili i riferimenti al massacro della Diaz, alle morti dell'ispettore Raciti e del tifoso laziale Gabriele Sandri -.
Ce ne vuole per essere un violento che cerca una scappatoia in un ideale come Cobra.
O per un padre alla deriva come Nigro.
O per uno "che è tutta la vita che ci è dentro", come Mazinga.
O per uno che non riesce a starne fuori, come Carletto.
Si può pensare tante cose, di questo film.
Ma di sicuro non guardarlo con indifferenza.
Perchè è un ritratto terribile e dolente dell'Italia com'è ora.
Perchè, in un modo o nell'altro, contro o accanto a loro, c'entriamo anche noi.
E solo quando ricambieremo lo sguardo dell'abisso che ci governa e decideremo di muoverci, capiremo di essere tutti nella stessa merda.
E fino al collo.
MrFord
"Well I'm running, police on my back
I've been hiding, police on my back
there was a shooting, police on my back
and the victim well he wont come back."The Clash - "Police on my back" -
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