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Cobra (Pierfrancesco Favino), Mazinga (Marco Giallini) e Negro (Filippo Nigro) sono tre celerini violenti ed esaltati, tutti a loro modo dipendenti dall’aggressività e dalla violenza: istinti che hanno da sempre condizionato le loro scelte e gravato pesantemente sulle loro vite. Il loro mestiere, seppur non tra i più semplici, appare tra le altre cose anche figlio dei loro ideali a sfondo fascista e consiste nel mantenere l’ordine pubblico quando questo risulta fortemente minacciato da alcuni gruppi di persone ostili alla divisa e in cerca di rivolte, mantenendo inoltre sempre fede alla leggera postilla che non permette nessuna possibilità di attacco se prima non si è fisicamente attaccati. In "ACAB" infatti non vuole esserci alcun messaggio positivo ma solo negatività, dolore e tanta, tanta violenza. Quella che nasce da un destino praticamente segnato dal momento in cui si compie una scelta e la stessa che è costretto a subire lo spettatore quando è trascinato inevitabilmente di fronte alle numerose scene di brutale violenza di cui il film più di una volta vuole farsi obbligo.
Quando inizi a far parte della celere questa deve diventare la tua famiglia, a tutti i costi, e come tale deve essere sempre rispettata e protetta. Il punto di vista più interessante della storia diventa allora quello di Adriano, interpretato dal giovane bravissimo Domenico Diele, reale protagonista della vicenda, novellino appena entrato nel gruppo e subito immerso in una realtà differente da quella immaginata prima di prendere parte al mestiere, una realtà in cui spesso la divisa anziché rappresentare l’onestà tende invece a prendere il sopravvento, e quando questo accade bisogna che la fratellanza di rito faccia il suo dovere e corra sempre in aiuto del fratello in pericolo. Ecco, probabilmente il lato migliore di “ACAB” è rappresentato proprio dal modo in cui racconta l’attaccamento e la fratellanza tra i tre colleghi Cobra, Mazinga e Negro, comunque insieme, sempre, nella buona e nella cattiva sorte. E non è un caso che messa in questo modo questa fratellanza risulti molto più simile a un vero e proprio matrimonio, perché in realtà tutti e tre non riescono a far funzionare alcuna relazione all’infuori della loro amicizia, che di conseguenza potrebbe benissimo rasentare i legami forti e intensi di una storia d’amore. Allo stesso tempo a fare da contraltare, la fatica di Adriano ad immettersi in un sistema crudele e disumano, in tante occasioni impossibile da mandare giù, e descritto in modo da far affiorare la figura del celerino in sé come un ruolo mai positivo, neppure lontanamente, ma soltanto aggrappato alla convenzionale scappatoia del: “è uno sporco lavoro ma qualcuno dovrà pur farlo”.
Tuttavia, il cedimento effettivo di “ACAB” avviene appena si tenta di approcciare ad altri delicati argomenti in maniera piuttosto debole e inconsistente. Come i riferimenti un po’ furbeschi e buttati a caso riguardanti alcuni importantissimi fatti di cronaca (il G8 di Genova, la Diaz, la morte di Raciti e quella di Gabriele Sandri) oppure le parentesi sullo scarso impegno della classe politica e sul problema degli extracomunitari nel nostro paese, dove la pellicola si va ad appoggiare in un paio di occasioni senza mai approfondire a dovere. Spunti che se avessero voluto trovare un loro spazio nella storia avrebbero dovuto avere una logica più stabile e precisa ma viceversa, gettate in maniera così poco ordinata, portano la pellicola solamente a sfilacciarsi e a perdere potenza e direzione.
Alla resa dei conti “ACAB” si rivela quindi un vero e proprio fuoco di paglia, soprattutto dopo le tante, inutili polemiche che negli ultimi giorni è riuscito a sollevare. E' più facile che questo film diventi uno di quei numerosi piccoli cult metropolitani amatissimi dagli adolescenti e da una determinata massa di giovani, a livello cinematografico però rimane solo un discreto tentativo di far emergere qualcosa di nuovo dallo scarso panorama italiano. Uno sforzo apprezzabile, forte e sicuramente coraggioso ma anche molto confuso e solo parzialmente riuscito.
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