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Limitandoci alle linee guida tracciate da Wallis, che avrebbero reso superfluo un buon film come Flaming Star (1960), conducendo poi a disastri del calibro di Harum Scarum (1965) o Paradise, Hawaiian Style (1966), Elvis subì senz'altro uno shock quando si trovò davanti il materiale che avrebbe trovato posto nella colonna sonora di G. I. Blues (1960). Le canzoni appartenevano ad una vena creativa non paragonabile a quella del decennio che si era appena lasciato alle spalle, questo era fuor di dubbio, nondimeno il frutto del suo lavoro in studio fu sostanzialmente buono, per quanto lo allontanasse bruscamente dall'abituale percorso artistico. Quanto a Blue Hawaii (1961), progetto cinematografico di enorme successo, generò una soundtrack piacevolissima, nella quale confluirono felicemente elementi musicali delle isole visitate.
Certo, i giorni del rock 'n' roll erano finiti, ma questo ad Elvis interessava poco, probabilmente. Stiamo parlando di un artista che tendeva a trascendere i generi, al quale piaceva interpretare quei brani che colpivano la sua sensibilità, senza stare a valutare se questi rientrassero o meno nei confini del suo regno. Per capire questo concetto fondamentale basta pensare all'impegno che profuse nella realizzazione di It's Now or Never (O' sole mio), in assoluto uno dei pezzi che amava di più. Dunque, se nei sixties lo standard qualitativo si fosse mantenuto su livelli accettabili, Elvis avrebbe continuato ad incidere dischi e a girare film tenendo tranquillamente a freno la frustrazione derivante dall'impossibilità di realizzare qualcosa di più sostanzioso. Sfortunatamente. le cose non andarono in questo modo.
Le colonne sonore di Follow That Dream (1962) e Kid Galahad (1962), entrambe pubblicate su extended play, sono carine ma impalpabili mentre quella relativa a Girls! Girls! Girls! (1962), ennesima produzione firmata da Hal Wallis per la Paramount, riempì un long play e volò alta in classifica, ma evidenziò un innegabile scadimento creativo. Il castello di carte edificato dai ben noti maneggioni crollò fragorosamente con il successivo progetto targato Metro-Goldwin-Mayer. It Happened at the World's Fair (1963) è una commediola senza pretese, nella media del periodo, ma l'album che ne derivò fu il peggiore mai realizzato da Elvis fino a quel momento: salvo pochissime eccezioni le canzoni sottoposte all'attenzione degli appassionati erano di una mediocrità disarmante, poco più che brevi sussurri caratterizzati da arrangiamenti poveri e fuori moda. Tutto questo, giova ricordarlo, un anno prima della venuta dei Beatles, comandanti in capo della British Invasion.
Per quanto riguarda Elvis, che fotografiamo in un momento cruciale della sua carriera, stava imboccando l'ultimo tratto di quel sentiero hollywoodiano che di li a poco si sarebbe trasformato in un incubo fagocitante, che lo avrebbe completamente svuotato dal punto di vista artistico. Ci furono tuttavia un paio di eccezioni alla regola, la prima delle quali si chiama Fun in Acapulco (1963). A livello di soggetto e sceneggiatura la pellicola non è niente di che, anche se il risultato finale è decisamente gradevole, ma le sorprese arrivano dal versante musicale dell'operazione. In questo caso, per esigenze di copione, venne data ad Elvis la possibilità di cimentarsi con brani dal sapore latino, che in quel periodo lui approcciava con vero e proprio trasporto. Spesso viene portato ad esempio il brano (There's) No Room To Rhumba In A Sports Car per sottolineare la decadenza dell'arte elvisiana durante gli anni votati al cinema. In realtà, spulciando tra le colonne sonore registrate dal Re si trova di meglio e di peggio, ma non è questo il punto. Ascoltando i pezzi scelti per allestire la soundtrack è tangibile l'entusiasmo del cantante, che sembra alle prese con la realizzazione di un'opera discografica che ama profondamente.
Fun in Acapulco è, al pari di Blue Hawaii, un gran bel disco, squisitamente a tema. La voce di Elvis, che si permette anche il lusso di cantare in spagnolo è al top, l'intenzione quella giusta e la meta da raggiungere visibile all'orizzonte. Non stiamo parlando di un capolavoro, questo è bene tenerlo a mente, ma di un prodotto di buon livello, realizzato da un grande interprete che all'epoca ci credeva ancora. Si sarebbe disilluso presto. Per quanto possa sembrare incredibile, a Parker e soci non interessava mantenere neanche un livello minimo di decenza artistica. Perché sottilizzare quando si poteva ottenere il massimo per mezzo di espedienti e cianfrusaglie?
Testo: Roberto PagliaFoto: Web
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