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Accademia, interlocutori e bocciofili (di più i bocciofili)

Creato il 28 novembre 2012 da Spaceoddity
Accademia, interlocutori e bocciofili (di più i bocciofili)Possibile che l'università abbia esaurito ogni significato possibile dell'accademia? L'aggettivo accademico è per me funesto perché penso alla realtà che ho conosciuto, un mondo dove la cultura - come ognun sa - è bandita e gli unici discorsi che muovono qualche interesse sono quelli relativi al potere, all'invidia,  alle dinamiche di sopraffazione. Ci deve essere un modo diverso di pensare la trasmissione culturale (extrascolastica) e di condividere le ricerche e le conoscenze, a partire dalla loro genesi. Ci deve essere modo di creare una rete di interlocutori che prescinda dai social networks (e che comunque ne sappia sfruttare il potenziale virale di coinvolgimento). Non è necessario (ed è certo in buona dose utopistico) pensare di sradicare la fogna universitaria, il suo disfattismo e la sua ingordigia.
Una mia amica - sincera e impietosa - sostiene (e io parafraso un po' e ingentilisco) che ho un concetto di condivisione delle conoscenze che equivale più a un salotto settecentesco che a una moderna struttura di rete di ricercatori. Come spesso accade, ha ragione. Sicuramente, intriso di presente nell'animo come sono, mi preoccupo troppo poco di essere moderno o innovativo. E senz'altro c'è, nei miei propositi, tra tantissime altre (e magari ben più serie), una contraddizione di fondo: accanto al salottiero disinteresse per una ricaduta pratica in termini di guadagni, carriera e potere (come dimostra una chiacchierata dell'anno scorso sul concetto di pagarsi gli studi), nutro la volontà di fare dello studio una professione (annessi e connessi), concetto praticamente ignoto in Italia e del tutto risibile in periodi di crisi. Ma c'è un aspetto fondamentale su cui la metafora del salotto illuminista (perché no, venato di una discreta sensualità) funziona: l'idea del coinvolgimento di interlocutori.
Sono convinto - o non alimenterei Das Kabarett ormai da anni - che non esista conoscenza senza interlocutori. Il dottorato in quanto tale è una linea del via dove, tra propositi di lealtà e amicizia, il carrierismo ha la meglio e dove i colleghi si guardano in cagnesco, come possibili avversari. Ci sono ragazzi in gamba, dediti allo studio e con capacità superiori alla media, questo è vero, e non sono pochi, solo che lo studio è finalizzato al posto, non il posto allo studio e, date le condizioni economiche in cui versiamo, c'è poco da essere romantici: fare ricerca costa (in ogni senso) e una posizione strutturata ha un'importanza capitale. Di contro - e chi ha frequentato certi contesti lo sa benissimo - pochi sono gli ambienti nei quali l'abnegazione e il furor della propria missione hanno un tale peso come tra i giovani (o comunque giovani nell'animo) appassionati di studio e di ricerca, tali da trascurare le più legittime aspettative di un compenso (laddove non esistono neanche ipotesi di rimborsi).
Accademia, interlocutori e bocciofili (di più i bocciofili)La ricerca costa, ovvio. Però costa ancor più - e con effetti di gran lunga più deleteri - l'assenza di interlocutori. Ancora una volta si invertono i termini del discorso: è la struttura a fare la comunità e non viceversa. Ciò accade perché la struttura precede, sul piano storico e biografico coloro che assorbe; diciamo dunque che è normale. Dirò di più: è bene, almeno lo è quando i nuovi arrivati si vanno inserendo in quello che è un processo produttivo di conoscenza, in uno standard di qualità delle procedure e dei risultati che possa essere riconosciuto e difeso, anche se non per forza condiviso, da tutti i partecipanti. D'altra parte questo non può trasformarsi nel più viscoso immobilismo dispotico (e, a un certo punto, arbitrario) che ben conosciamo. In più, ciò che non è normale è che non esista una via di fuga e che l'università - o una forma organizzativa parauniversitaria - sia l'unico modo per parlare e per agire in termini di accademia (visto che le associazioni culturali si regolano in genere su altri principi e altri programmi). Le accademie non dovrebbero essere incontri di amici appassionati, per quello bastano i social networks o le pizze in compagnia tra cari colleghi di università. Si dovrebbe cercare sempre più di consolidare le pratiche di ricerca, di condivisione dei metodi e di verifica dei risultati, nell'ottica di un ripensamento vero e funzionale delle procedure (l'immobilismo dogmatico di certi ambienti universitari umanistici è nauseante). Insomma, qualcosa più di un dopolavoro ferroviario o di verbosi circoli di bocciofili.
Ma, mi si lasci dirlo, ho sempre più la certezza che si debba partire proprio da questi ultimi per creare un'accademia più sana e dedita allo studio e alla ricerca.

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