Quella faccia la conosco, molti di noi l’hanno già vista: è quella dei mezzi alticci che ti investono con incredibili idee per farsi sganciare qualche spicciolo o anche solo per ricevere un assenso. Sa di bar provincia quando comincia a far sera, sa di desolazioni invisibili. Parrebbe quasi la faccia di chi soffre l’infelicità pubblica, non quella di chi l’ha creata.
Ma siamo al G8, non c’è macchina del caffè che esala vapore, né l’odore triste di vino, rimasuglio degli aliti e delle orme dei bicchieri sul bancone. Però è lui il Cavaliere che funge da attore e da scenografia dello squallore in cui ha gettato il Paese. Quello che ha detto è solo la pessima sceneggiatura che ormai lo tormenta come un’ossessione. E basta osservare Obama per capire che gli avrebbe messo in mano cento dollari pur di toglierselo di torno.
La sconfitta e il declino dell’Italia sono lì in quella scena avvilente, in quell’accattonaggio molesto di chi dovrebbe rappresentarci ed è solo angustiato per i propri destini, per il grido del passato che lo fa tremare e straparlare mostrando le crepe ossessive della senilità.
E in fondo il volto di chi partecipa intimamente dei suoi guai, quasi ad essere tutt’uno con essi: un passato che non vuole passare.