Da qualche giorno è ricominciata la kermesse cinematografica in Piazza Maggiore a Bologna: il cinema ritrovato, cioè le opere restaurate e Sotto le stelle del Cinema, alcuni grandi capolavori.
Il 19 giugno è cominciato con Accattone. E' un modo particolare di cominciare. Perché con Pasolini non si inizia mai, ma si è iniziato sempre. Ci accorgiamo di Pasolini quando siamo già invischiati con i suoi scritti, con le sue poesie, con quel cinema che abbiamo schivato finché abbiamo potuto. Non ci accorgiamo del momento in cui iniziamo a frequentarlo, perché ci prende e ci coinvolge come poco altro: siamo già nel mezzo del guado e non sappiamo come ci siamo arrivati. Vederlo in Piazza all'inizio di una kermesse, pertanto, è un modo curioso di partire: un cominciamento che non è tale.
Inoltre, la Cineteca ci ha portato ad un confronto con Pasolini nella sua totalità: prima della visione G. Battiston ha letto un testo del Pasolini prosatore che presentava il film quando venne dato in prima serata nel 1974 e alcune poesie in dialetto friulano (meravigliose, occorre dirlo!).
La ricerca pasoliniana della cultura contadina e popolare che la DC ha distrutto scientemente si compie in questo primo film, che è la storia ritmata dell'insistente ricerca di una vita violenta e miserabile del protagonista. Pasolini non lo abbandona, lo insegue con la macchina da presa. Insiste e non demorde, seguendo la scia di una convinzione, che possa emergere la cultura popolare delle borgate romane, realmente connessa a quello stile di vita.
Il film insiste, e insiste, sciogliendo una matassa semplice e banale. Sfilacciata per la semplicità della storia che descrive. Tragica per il racconto che si snoda senza tregua in immagini e descrizioni crude, ciniche, rustiche e disilluse. Dentro ad un raccontare dai foschi contenuti, tuttavia, la visionarietà dell'autore, che vi ricerca una poetica nella miseria degli ultimi, non produce alcun risultato. Se stilisticamente è dipendente in tutto e per tutto da questa ricerca di una poetica popolare, la difficoltà di mostrarla e farla emergere non può che lasciare insoddisfatti.
E' chiaro, il film è stupendo: ci sono inquadrature che meritano lo sguardo e riflessioni notevoli; tuttavia ogni cosa è schiacciata su quest'esigenza poetica che l'autore non costruisce e che non riesce a trovare nell'oggetto che filma, nella condizione dei borgatari romani. Quest'aspetto è decisivo, infatti, a maggior ragione se messo in mano ad un intellettuale la cui opera più interessante è sicuramente data dalla collezione di poesie.
Viene meno l'oggetto filmico - la cultura popolare; e viene meno la struttura del film: Pasolini, infatti, a mio avviso non riesce a cogliere quello che va cercando. Non riesce a costruirlo, non riesce a vederlo nella macchina, tanto che spesso le immagini sembrano essere collegate tra loro da un diverso filo conduttore. E non si può nemmeno dire che sia storia a farla da padrona: essa subisce se stessa; ne è esempio l'epilogo tragico e tremendo, perché è un finale senza storia, perché non c'è racconto che si evolve, ma solo un ripetersi di se stesso all'infinito: la vita di Accattone lo dimostra! E se non c'è storia, viene meno anche la struttura del film. Pasolini la ricerca con insistenza nella cultura delle borgate tanto desiderata. Tuttavia il fallimento di questa ricerca è consustanziale all'assenza di un racconto: manca una storia, manca una temporalità, tutto è subito e infinitamente uguale: tutto è il ritorno di sé.
E dopo un po' sembra di rivedere la stessa cosa senza tregua. Senza storia, senza struttura, con un film che è faticosamente l'immersione in un labirinto di specchi tutti uguali. Trovarvi una cultura popolare in questo, pertanto, diventa estremamente difficile. O, forse, la cultura popolare che Pasolini cercava è proprio data da questo ripetersi dell'uguale a sé.
Ed è quanto di più lontano da Pasolini possa esservi: una cultura senza poetica, una cultura senza cultura perché senza storia e senza racconto. Misera come misera è la condizione che vive.