Articolo numero 600 per Plutonia Experiment: avevo bisogno di un titolo forte, ma non certo casuale.
Il ragionamento nasce da una notizia circolata settimana scorsa: un italiano su due non legge neppure un libro all’anno. Che, se possibile, è perfino peggio dei soliti sondaggi riferiti al decennio 2000-2010, che più o meno attribuivano 1/2 libri letti all’anno, sulla media di tutta la popolazione italiana.
A essa si è poi aggiunta una nota dell’Associazione Italiana Editori (AIE): il mercato dei libri young adult ha subito una flessione dell’8% nei primi mesi del 2013. Tenete presente che il settore young adult è praticamente l’unico, in Italia, che vende decentemente. Poco importa se stiamo parlando di indegno ciarpame, Twilight e dintorni, tanto per capirci. Tuttavia oggi non voglio entrare nella critica letteraria di questo o quel genere.
Direi anzi che il problema è oramai decisamente più generale e diffuso: se la lettura non interessa quasi più nessuno, le piccole guerre tribali tra appassionati di filoni e autori diversi diventano tanto inutili quanto ridicole.
Chi segue il mio blog da più tempo sa che questa domanda me la pongo da parecchio.
Parlare di libri e di scrittura al pubblico italiano pare sempre più spesso un rituale onanistico di gruppo. I lettori, per carità, ci sono ancora, ma sono stanchi, disillusi, spesso in fuga verso la narrativa anglofona. Altri lettori hanno invece creato dei clan totalmente autoriferiti, dove i padroni di casa se la cantano e se la suonano, spesso per ritagliarsi dei ruoli da influencer (come avevamo già detto), oppure perché, più semplicemente, si tratta di poveracci dalla vita tristissima che riescono a ritagliarsi qualche momento di fama soltanto facendo i bulli nelle Terre Perdute dell’editoria italiana.
Questi gruppetti autoriferiti mi danno l’impressione di quel clan isolati in qualche regione sperduta del mondo, in cui ci si accoppia tra consanguinei, con l’ovvio risultato di produrre mostri e deformità. Infatti è puntualmente ciò che accade.
C’è tuttavia il rischio che accada qualcosa del genere anche in blog più dignitosi, pacati e civili. Anche qui? Chi lo sa. Probabilmente sì, per questo ho preferito assumere toni più distaccati e occuparmi anche di altre cose. I risultati, tra l’altro, mi ripagano ampiamente in termini di visite. Il che è senz’altro un successo personale, ma al contempo una sconfitta. Rappresenta infatti la chiara prova che di recensioni libresche se ne interessano sempre meno persone, tranne quelle che servono da mera scusa per montare polemiche ridicole. E, come era logico immaginare, anche questo generi di articoli hanno registrato dei cali d’interesse notevolissimi nell’arco degli ultimi 12-18 mesi.
Il panorama italiano degli appassionati di libri.
Parlando di tutto ciò con un amico, pochi giorni fa, lui si domandava “chissà come andremo a finire”.
Già, chissà. Non sono un indovino, ma le prospettive sul medio termine sono pessime. Anche perché, nel Paese disastrato in cui viviamo, una rivoluzione culturale per quel che concerne l’editoria è diventata (logicamente) una priorità molto bassa nella scaletta delle cose di cui occuparsi.
Mi rendo conto che è un problema che interessa poco chi non frequenta l’ambiente. Anzi, la stessa percezione dell’intera questione è bassissima, visto che i megastore traboccano di libri. Ma, ancora, nessuno parla del giro di affari che generano i resi invenduti, spediti al macero dopo poche settimane. Né dei pochissimi soldi che vanno nelle tasche degli autori, o degli enormi debiti accumulati da note case editrici.
Proprio questa scarsa percezione della situazione catastrofica in cui versa la cultura libresca italiana è la sconfitta più grave. E prima o poi tutto ciò non interessa più a nessuno.
- – -