Comincio la settimana con un po' di aggiornamenti sulla disposofobia, per cui ricevo contatti da tutta l'Italia, con richieste d'aiuto soprattutto da parte dei familiari.
Vorrei poter aiutare tutti, ma ovviamente non è materialmente possibile.
Posso chiarire che attualmente, qualora sia possibile, svolgo interventi di sostegno psicologico nei casi di disposofobia, anche per chi proviene da fuori provincia o da fuori regione con percorsi studiati ad hoc per gestire i problemi di distanza.
Inoltre il tema sempre più frequente che osservo è la richiesta "disperata" da parte di amici o familiari
che vorrebbero che il paziente facesse una consulenza dallo psicologo, sebbene non ammetta di avere un serio problema di accumulo compulsivo.
Ribadisco nuovamente, che nei casi di disposofobia, c'è sempre una parziale consapevolezza di disagio, ma a volte il percorso più utile, per motivare queste persone ad accettare l'aiuto dello psicologo, è iniziare il lavoro di sostegno ai familiari.
Lo dico per esperienza e per spiegare come possa essere di sollievo e d'aiuto per i parenti, riuscire ad avere un sostegno per comprendere cosa stia succedendo al loro familiare, cosa sia l'accumulo compulsivo e scoprire insieme il valore che quel tipo di disagio ha per il paziente.
Spesso è un modo per motivare il paziente a chiedere lui stesso di poter partecipare, con il tempo, alle consulenze e magari spiegare il suo punto di vista e creare un "lavoro di squadra" sui conflitti generati dal problema dell'accumulo compulsivo, nella vita di tutti i membri della casa.
A questo proposito v'invito a vedere questa interessantissima intervista del collega Luca Mazzucchelli allo psicologo Marco Schneider, che spiega dettagliatamente "come aiutare chi non vuole aiuto". In questo video "alcune riflessioni sulle situazioni, sempre più frequenti, in cui si chiede di effettuare prestazioni psicologiche a persone che non sentono di avere questo bisogno."
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