Un racconto, una parabola, magari un favola dal sapore burtoniano condita con la dolce salsa di Kikujiro e la sprezzante ironia del nostro giunto ormai alla fine di un ciclo. Nascere per e con l’arte, questo e’ il destino del protagonista e malgrado le avversita’ della vita, il bisogno di un riconoscimento, anche tangibile perche’ no, prendera’ il sopravvento sul senso comune del vivere e del creare.
Prima della resa con "Outrage", Kitano si e’ giocato un’ultima carta con "Achille e la tartaruga", forse il film piu’ autobiografico della sua carriera, ancor piu’ di "Takeshis’ " col quale scherzo’ amaramente laddove il riso fu un pretesto per nascondere rabbia e incredulita’.
Si sa quanto egli sia legato alla pittura, passione antica tornata in auge nel periodo di degenza dopo il terribile incidente che lo vide protagonista. Sappiamo che nel periodo successivo all’uscita del film, la sua mostra personale ha girato il mondo e diciamocelo, senza il nome Kitano difficilmente troveremo questa roba oltre il cortile di qualche istituto scolastico.
Non che sia un caso isolato anzi e’ noto quale inganno sia il mercato dell’arte ma credo anche che un uomo intimamente artista quale egli e’, si senta frustrato e non poco innanzi gli scarsi risultati gonfiati artificialmente dal suo nome e poco altro.
Come a Machisu il protagonista, c’e’ un fuoco in lui alimentato dalla passione ma non dal talento, almeno un talento riconosciuto in quanto tale, una maledizione tremenda per chi sente il bisogno di esprimersi, dolore persino troppo grande sentendosi falliti in ben due discipline, cinema e pittura, come stava accadendo a Kitano a quel tempo. I riferimenti ci sono tutti, persino l’incidente che non conta, non ferma, non blocca il bisogno di essere all’interno di un’arte dirompente e coinvolgente.
In realta’ Kitano e’ un artista vero, uno dei grandi dal talento incontenibile ma troppi anni d’insuccesso minerebbero la fiducia a chiunque anche a chi, come Kitano, non dovrebbe avere questi problemi.
Cosi’ si spiega la pellicola e in fondo dieci anni di vita a tutto tondo del Maestro, le sue scelte e il percorso intrapreso, opera in fondo estrema come estrema diviene la follia del protagonista.
Non credo neppure sia sottotraccia un discorso generale sull’arte, inutile come sempre quando si cerca di definirla, eppure il gap tra operatori del settore e uomo della strada non solo s’allontana ma s’inasprisce.
In mezzo resta chi fa arte e ci crede, la sente come esigenza fisica, un bisogno tangibile di dare, irrefrenabile nell’esprimersi, spesso incompresa da chi sta vicino, sbeffeggiata da chi al di fuori non sa capire.
Eppure c’e’ da mettere in conto che c’e’ sempre una realta’ con la quale confrontarsi e lo scontro tra ingegno e giorno avviene dove troppo spesso i sogni s’infrangono.
Kitano ha raggiunto la sua tartaruga quindi? Purtroppo per lui, si.
Scheda IMDB
Catalogo mostra Kitano alla Fondazione Cartier
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