Acqua buia (Einaudi 2012, con traduzione di Luca Conti e Chiara Ujka) è un “già visto in stile Lansdale”. Il maestro ripropone i temi che l’hanno portato alla fama e ne fa un guazzabuglio di horror e mani mozzate, ragazzini in fuga, colpi di scena all’acqua di rose e un giallo che non è mai tale. Insomma, a dirla tutta, Lansdale si autoricicla e il lettore se ne accorge presto.
Mesi fa, vi avevo parlato di Cielo di sabbia (Einaudi 2011, con traduzione di Luca Conti) e, variando qualche particolare, potrei riproporvi quella recensione, spacciandola per nuova. Non lo farò, e non tanto per questioni di etica – raramente i recensori perdono il sonno per così poco – quanto, invece, perché Cielo di sabbia mi era piaciuto. Quel romanzo aveva qualcosa da dire, Acqua buia ha solo cose da ribadire.
Ovviamente siamo in Texas – d’ora in poi eviterò l’ovviamente per snellire il post – alle prese con la Grande Depressione e il disincanto della popolazione locale. I tre protagonisti sono adolescenti, tre tipetti facilmente inquadrabili: Sue Ellen è una sedicenne che trova sia «meglio starsene sulla riva del fiume che in casa a passare lo straccio per terra», una che alle incombenze domestiche preferisce «le cose da ragazzi e da uomini» (pagina 9); Jinx è una coetanea di colore, pratica e diretta come un destro in pieno volto, parla come Popeye ma, non potendo esclamare «Corpo di mille balene!», si limita agli opossum; Terry è un bel ragazzo bianco con un piccolo problema: è gay, in un’epoca in cui il politically correct è una finezza lontana dal palesarsi. Volendo riassumere la questione, possiamo dire che i nostri tre fanciulli intendono scappare dal Texas e dalle proprie sfighe, complice inconsapevole la povera Mary Lynn, trovata cadavere tra le acque scure del Sabine. Bella, intenzionata ad andare a Hollywood, finita sul fondo del fiume con una macchina da cucire appesa alle caviglie. E se non ha potuto andarci da viva, perché non portarcela da morta? Magari in una comoda urna, dopo una fortunosa cremazione disbrigata in poche righe.
Avendo un cadavere fin dalle prime pagine, Lansdale potrebbe prenderci per mano e disvelarci il giallo di questa prematura dipartita. Ma non è così. Scopriremo sì il colpevole, ma sarà grazie a un’intuizione di Sue Ellen, motore diesel di un’avventura che stenta a decollare. La soluzione dell’enigma non aggiunge e non toglie nulla al resto: la trama rimane piuttosto noiosa, tenuta assieme con lo spago e densa di comparse che sembrano uscite dai romanzi di Hap & Leonard – saga per cui Lansdale è celebre. Manca solo il nano omicida, ma è sostituito alla grande dal pazzo e feroce Skunk.
Skunk merita un posto d’onore nella carrellata di macchiette proposte da Lansdale nei tanti libri di cui ci ha omaggiati. È un omone che vive nei boschi, un mezzosangue, un assassino a contratto: «Nessuno vuole avere a che fare con Skunk, a meno che non gli interessi prendere qualcuno vivo o più probabilmente morto. Alle sue vittime taglia le mani e le consegna a mo’ di prova della missione compiuta» (pagina 29); un cattivone che, nonostante la ferocia, mi ha, spesso, mosso a simpatia.
In gioventù, il piccolo Skunk non brilla per acume e nobiltà d’animo. La madre decide, allora, di disfarsene: portato al fiume il giorno del suo decimo compleanno – una bella gita lungo il Sabine e tanti auguri –, il bambino viene aggredito dalle mani materne che cercano d’affogarlo. Non contenta, la cara mammina lo prende a remate sul cranio. Inutile dirvi che la signora non morirà di vecchiaia e da lì prenderà il via la fortunata carriera omicida del figlioletto. Fattosi adulto e ripugnante, Skunk se ne va a spasso per i boschi con una bombetta a cui è appeso un uccello imbalsamato, puzza in maniera inconfondibile – non si capisce come possa stanare la preda senza prima fare un bagno – e tiene le mani mozzate all’umana selvaggina appese alla cintura. Ovviamente, Skunk avrà l’incarico di seguire e stanare i nostri eroi, che nel diario della defunta Mary Lynn hanno scovato una mappa del tesoro.
Una mappa del tesoro? Già, perché Mary Lynn – bellissima e intenzionata a diventare una star – ha un fratello rapinatore di banche. Il tale, prima di morire – in questo libro muoiono in molti: è una maniera spiccia per liberarsi dei personaggi non più utili al plot – lascia indicazioni per ritrovare il bottino della sua ultima scorribanda. Il lettore capisce subito dove bisogna scavare, ma Lansdale deve allungare il brodo e, quindi, manda a zonzo i ragazzini e lascia che mentalmente gli si urli «Fuochino» quando si avvicinano, «Acqua» quando si allontanano e «Finalmente!» quando ritornano indietro. Se anche questa non vi pare una gran trovata, non posso darvi torto.
Dell’allegra brigata in fuga fa parte anche la madre di Sue Ellen, una signora che da anni vegeta in casa bevendo un intruglio alcolico – il «toccasana» – che riesce a farle tollerare un matrimonio da incubo condito da soventi pestaggi. Le basteranno poche pagine – e una dieta più sana – per diventare leggiadra e piacente. Tutti la noteranno, compresi noi, che per l’intero romanzo la sentiremo blaterare di strani sogni: lei che fugge da un cavallo nero e cerca di raggiungerne uno bianco. Non ci vuole la Smorfia Napoletana per stabilire che la mamma di Sue Ellen – nonostante si reputi sobria – è alle prese con una personale lotta tra il bene e il male. Ah, per dovere di cronaca, queste chimere equine danno un ambo secco: giocate il 3 e il 50.
Nel romanzo, i poliziotti sono sempre corrotti, i padri sono maneschi e ubriaconi, i buoni frequentano persone di colore, mentre i cattivi le usano come tirassegno, i ragazzini sono migliori dei genitori, nel Texas si fa la fame e il meteo è spesso avverso: in Acqua buia – si noti il riferimento alle tempeste di sabbia dell’Oklahoma (pagina 227) e, se questo vi ricorda Cielo di sabbia, avete vinto una bambolina – a fare la parte del leone sono gli acquazzoni lungo il Sabine.
Su Repubblica.it, Lansdale, a proposito di Acqua buia, dice: «Sono sempre stato fortunato e benvoluto, ma certo questo è il romanzo che ha avuto l'accoglienza più calorosa e anche se non dovrei essere io a dirlo: sì, penso che sia il mio miglior libro». Temo di doverlo smentire.
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