La vedevo dalla lontananza avvicinarsi.
Una nube gravida d’acqua se ne venne oscillando
in groppa al soffio dei venti,
e per tutta la notte si riversò a flutti e a rovesci,
calpestando braccia fragili d’aria satura
finché fece tracimare sangue dalle labbra delle cicatrici lese.
Quando si dilapidò,
il cielo con le sue stelle del mattino
sembrava un pascolo per destrieri dove correre a briglia sciolta,
sembrava un bosco di fiori selvatici roridi di rugiada
con dischiusi nel mezzo boccioli d’odorosa camomilla.
Sembrava mare erboso su cui dolce fluttuava il cammino del cigno.
Sembrava musica melodiosa ancora mai dipinta.
L.L.