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Acqua, il referendum tradito. Risponde l’inviato di Presadiretta, Rai3

Creato il 30 gennaio 2016 da Comunalimenfi
acqua_presadiretta_rai3_referendum_acquaEra il 2011 e gli italiani hanno votato in massa per dire sì all’acqua pubblica, 27 milioni di cittadini alle urne.
Come è andata a finire? Perché l’esito della consultazione referendaria non è mai stato ratificato da una legge nazionale e l’acqua è ancora affidata al mercato?
Mentre Rai3 trasmette l’inchiesta su Presadiretta, domenica 31 gennaio, l’inviato Alessandro Macina risponde alle prime domande in esclusiva su LifeGate.

Presadiretta è il programma d’inchiesta condotto da Riccardo Iacona in onda su Rai3 ogni domenica alle 21:45. Domenica 31 gennaio, nell’inchiesta intitolata “Acqua, il referendum tradito”, l’inviato Alessandro Macina è andato a vedere di persona come stanno le cose a quattro anni di distanza dalla vittoria del Referendum per il ritorno all’acqua pubblica.

Per esempio, la Sicilia è la Regione che ha il record di gestori privati, cinque su nove, che dovrebbero garantire erogazione, controllo della qualità e servizi. Anche in gran parte della Campania l’acqua è ancora affidata al mercato, ma il Comune di Napoli è l’unica grande città italiana che ha scelto la gestione interamente pubblica del servizio idrico. Le tariffe oggi sono tra le più basse d’Italia e l’azienda ha chiuso l’ultimo bilancio con 8 milioni di euro di utili.

Ecco cosa risponde l’inviato Alessandro Macina, che si è occupato dell’inchiesta.

Nella puntata di Presadiretta del 31 gennaio citate il caso di Napoli. Il Comune ha scelto la gestione interamente pubblica e oggi offre tariffe tra le più basse d’Italia e utili milionari. Ci può fornire numeri e dare altri esempi di comuni virtuosi?

La scelta di Napoli è una scelta piuttosto unica nel panorama italiano, sebbene sia anche quella che rispetta di più lo spirito del referendum 2011. Napoli infatti è l’unica grande città italiana che ha scelto di trasformare la vecchia società per azioni in un’azienda interamente pubblica, un’azienda speciale al 100% del Comune di Napoli. È questa la grande trasformazione, non essere una società per azioni significa non avere azionisti, non distribuire dividendi, in una parola: non essere orientati al guadagno. Questo proprio per statuto, a differenza di società miste o a maggioranza privata che giustamente in quanto S.p.A quotate in borsa, hanno da pensare anche ai loro rendimenti.

Quali sono, in dettaglio, le peculiarità dell’azienda speciale?

L’azienda speciale fa pagare in tariffa solo il costo del servizio e quando ci sono utili, li può reinvestire, grazie alla sua natura, tutti e solo in manutenzione e investimenti. Investimenti che dovrebbero essere supportati anche da un grande piano pubblico perché la verità è che gran parte delle infrastrutture idriche in Italia risalgono agli anni ’50 – ’60. Sono gli stessi investimenti che servirebbero per la cura del territorio, contro il dissesto idrogeologico che poi è stata la causa scatenante dell’emergenza idrica di Messina.

Stesso discorso che vale per i servizi di depurazione e fognatura, perché la situazione è drammatica, stiamo ricevendo una salatissima sanzione europea su questo, per non esserci ancora adeguati agli standard minimi europei.

Non si può coprire tutto con il costo della tariffa. Si era detto che ci voleva il privato, e invece no, non basta l’intervento del privato. Siamo stati in Sicilia dove i privati gestiscono alcune province da più di 8 anni e ci hanno detto che senza la compartecipazione dello Stato e delle Regioni anche loro non possono fare gli investimenti promessi. Sono in attesa di ricevere fondi pubblici, che stentano. Le tariffe lì per gli utenti però crescono, quanto e anche più di quanto previsto dall’Autorità nazionale di settore.

Esempi come Napoli, quindi, è difficile trovarne in Italia.

Non siamo come la Francia che sulla materia della ripubblicizzazione dell’acqua è molto più avanti di noi, a partire dall’esperienza della capitale Parigi. Sono più di un centinaio oggi i Comuni in Francia in cui si è sottratta l’acqua alle multinazionali Veolia e Suez, che in Italia hanno importanti interessi e partecipazioni nelle principali aziende del settore, quelle che si pensa di rafforzare ancora di più. In Italia tuttavia possiamo ricordare l’esperienza di tanti piccoli Comuni che non hanno mai ceduto le reti idriche ai gestori misti o privati come avrebbero dovuto fare. Sono Comuni spesso ricchi di acqua, che hanno preferito gestire direttamente la risorsa. Penso ai 16 Comuni della provincia di Agrigento che non hanno mai ceduto le reti a Girgenti Acque spa, al piccolo Comune di Roccapiemonte in Campania che non ha ceduto le reti al gestore misto Gori Spa del gruppo Acea. Sono realtà virtuose, in cui le tariffe sono mediamente più basse e in cui la distribuzione dell’acqua è regolare.

Ma vi voglio raccontare della situazione paradossale che ha vissuto questa estate il piccolo comune montano di Saracena in Calabria, provincia di Cosenza. Lì il Sindaco non ha mai ceduto le reti a Sorical e le tariffe sono così basse che hanno ricevuto sanzioni da parte dell’Autorità di settore. Perché le tariffe erano troppo basse, troppo lontane dalla tariffa minima indicata per tutta Italia. L’esperienza virtuosa di questo piccolo Comune è stata appena riconosciuta in Parlamento.

A cosa pensa sia servito il referendum del 2011? E cosa manca affinché sia pienamente applicato?

Il referendum ha permesso di abrogare il cosiddetto decreto Ronchi, approvato dal Governo Berlusconi, che obbligava il pubblico a vendere quote delle società idriche ai privati. Ma siccome dal 2011 a oggi nessuna legge nazionale ha ratificato l’esito della consultazione referendaria in cui ricordiamolo si sono espressi 27 milioni di cittadini italiani, l’acqua di fatto è ancora affidata al mercato. In assenza di una nuova normativa si è infatti ricaduti nella normativa europea che prevede la scelta tra tre diversi modelli di gestione compresa la società mista pubblica-privata e la gara rivolta al mercato. Nelle Regioni come Lazio o Sicilia dove sotto la spinta della volontà popolare e del movimento per l’acqua si sono approvate leggi regionali per il ritorno all’acqua pubblica, non è ancora cambiato nulla.

Al contrario, i segnali che arrivano vanno sempre in direzione del mercato. Si incentivano i Comuni a vendere quote dei servizi pubblici locali, dando loro la possibilità di utilizzare quei ricavi al di fuori del patto di stabilità. E si va verso una riorganizzazione del settore che vuol dire razionalizzazione e accorpamento sotto pochi grandi gestori in grado di fare gli investimenti necessari per rimediare ai gravi ritardi del sistema idrico e fognario italiano. Secondo molti osservatori, si finirà per favorire i big del settore, quotati in borsa, che fanno utili con l’acqua. E se così fosse, sarebbe il contrario di quanto chiesto dai cittadini con il referendum. Ma la logica economica impone di trovare soggetti in grado di investire e molto nel settore, si parla di 5 miliardi all’anno. Vedremo se queste società sapranno risolvere questi problemi

La puntata con l’inchiesta di Alessandro Macina va in onda su Presadiretta, Rai3, domenica 31 gennaio alle 21:45


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