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"Acqua salata" di Davide Bruno

Creato il 21 marzo 2011 da Giovannipaoloferrari

Quando si legge un libro, di qualsiasi cosa parli, si vive la storia, ma non sì immagina l'autore: che aspetto abbia, come sia fatto... Conoscere Davide Bruno significa conoscere i personaggi delle sue narrazioni: un ragazzone alto, robusto, sulla quarantina, uno di quelli che non ha bisogno di capelli perché non ha nulla da nascondere, uno che il sole e il mare hanno segnato nei solchi profondi delle rughe che gli attraversano la fronte, nelle cicatrici procurategli dai brutti incontri per mare e per terra, scuro come può essere solo un vero figlio del Sud. Davide, il protagonista dì "Acqua salata", edito da Il Filo editore, è la fotocopia dell'autore con qualche anno in meno: è un duro, uno che non scende a compromessi! È facile accorgersene: basta far caso alla sua camminata sicura e convincente, basta osservare le sue mani solcate dai segni delle reti da pesca e dalle cime. Ma chi crederebbe che un prodotto del sole e del mare come lui, forgiato da mille tempeste e avventure, abbia in animo una sensibilità tanto spiccata da poter scrivere un romanzo come "Acqua salata"?... 172 pagine che compongono un agile e piacevolissimo racconto di mare, d'amore e d'inquietudine. Uno dei pochi esempi, nella narrativa contemporanea italiana, di una prosa asciutta ed efficace, capace di trascinare il lettore in una visione chiara della descrizione narrativa. Brano parte da sé, dalla sua vita, dai suoi affetti, dai suoi luoghi, dalle sue esperienze e riesce a descrivere con rara lucidità la vita e i problemi dei pescatori del Sud, "razza" non protetta in via di estinzione. Affronta questioni e situazioni complesse con la semplicità e la consapevolezza dell'uomo di mare, che vive di mare. Significativi sono i passaggi sul pesca-turismo dove con sagacia e ironia lascia parlare uno dei suoi amici e maestri pescatori: "Ma ora ci aiuteranno (...), si i tempi bui stanno per finire perché fortunatamente si sono inventati il pesca-turismo (..). Vedo già questa barca trasformata in un carro di carnevale (..). Lì al centro, al posto della nassa, un bel frigorifero di plastica blu con le bibite fresche e dovunque creme solari e oli profumati per farli diventare in un solo giorno neri come me quando m'incazzo di prima mattina. Una barzelletta in mezzo al mare". Oppure quando parlando della pesca a strascico sempre un pescatore con amarezza sentenzia: "(...) E tragico (...), sai bene che, o prima o dopo, chi va per mare rischia di lasciarci la vita e tanta gente che faceva questo mestiere non è tornata a casa e, politici, ambientalisti, verdi, rossi, neri e gialli continuano a dire alla popolazione che lo strascico distrugge i fondali". Annamaria, la protagonista femminile del romanzo, appare in primo piano in una trama in cui gli sfondi forse contano più della love story tormentata tra i due ragazzi del Sud: si, del Sud, perché il romanzo poteva ambientarsi solo al Sud... sullo sfondo spicca una Napoli splendida, tramontata, un ricordo nostalgico di quella Napoli che fino agli anni '80 è stata la città universitaria dei giovani meridionali, dove tante esistenze si sono intrecciate fuggevolmente nell'aleatorietà dei loro vent'anni. Quella Napoli dei vicoli, dei mercati, del gioco delle tre carte, delle notti passate a giocare a tre sette prima di un esame, la Napoli della Camorra in mutazione, in trasformazione con lo spostamento dei centri decisionali, dei vertici dai Quartieri Spagnoli alle Vele, come a dire dal centro alla periferia; quando 1' "Organizzazione" aveva pieno controllo sulla città e non era permesso a raminghi centauri della notte di scorrazzare per i vicoli malmenando e derubando impauriti studenti. Gli studenti universitari fuorisede erano una categoria protetta, perché portavano "ricchezza": gli affitti e i soldi della spesa al piccolo alimentari sotto casa dove potevi acquistare quello che volevi, ma sempre 10.000 lire pagavi... Una Napoli di uomini d'onore, come Tarantella, che aiuterà Davide, una Napoli che non c'è più!... Lo Stato in tutta la narrazione è assente e tutto al più assiste, sta a guardare. Tra le righe si avverte pesante l'impotenza del cittadino non davanti alla criminalità organizzata o ai soprusi del cattivo di turno, ma di fronte ad uno Stato inerme, svuotato di ogni suo potere e autorità: uno Stato che non è mai stato!... Dietro tutto questo, su un altro sfondo che l'autore dipinge, si staglia "al di sopra del bene e del male" il mare, il mare delle coste di Sapri, del Golfo di Policastro, il Mar Tirreno, come un grande consolatore, che sovrasta tutti e tutto. Appare scontata l'analogia con "17 vecchio e il mare" di Hemingway, ma mentre nel racconto del grande scrittore americano la lotta è tra l'uomo e la natura in Acqua salata la natura è dura con l'uomo, ma al cospetto delle avversità della vita il mare appare anche come l'unico luogo dove rifugiarsi. Proprio come nel romanzo di Jon Krakauer "Into the wild', da cui Sean Penn ha tratto l'omonimo film, dove il giovane Alexander decide di lasciare la sua vecchia vita "rinascendo" in un isolato rapporto con la natura, così come nel momento di maggiore difficoltà Davide cercherà rifugio nel suo mare.

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