Pochi giorni dopo la firma ufficiale del nuovo trattato globale per combattere pirateria informatica e il commercio di materiale contraffatto arriva l’allarme di due giuristi che, in uno studio commissionato dai Verdi europei, denunciano come Acta – Anti-Counterfeiting Trade Agreement – contrasti con alcuni diritti sanciti nella Convenzione europea sui diritti umani e e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Il nuovo trattato commerciale anti-contraffazione è il frutto di un lavoro di negoziazione durato oltre tre anni. Sabato 1 ottobre, a Tokyo, è stato sottoscritto da otto dei paesi coinvolti nella fase di elaborazione: Australia, Canada, Corea del Sud, Giappone, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore e Stati Uniti.
Mancano all’appello l’Unione Europea, il Messico e la Svizzera che potranno firmarlo nei prossimi mesi. Sarà il Consiglio d’Europa a delegare un rappresentante per la firma. Ci sarà tempo poi fino al maggio 2013 per la ratifica. Da quel momento, se non ci dovessero essere intoppi nel procedimento, il trattato diventerà fonte di diritto per tutti i paesi membri dell’UE.
Ma cosa c’entrano i diritti umani con un accordo che mira a combattere il commercio di materiale piratato? C’entrano, perché secondo i due giuristi, e secondo altre molti voci critiche al di qua e al di là dell‘Atlantico, il trattato è andato ben oltre i suoi obiettivi iniziali.
I due esperti in questione sono Douwe Korff e Ian Brown, rispettivamente professore di diritto internazionale alla London Metropolitan University e l’Oxford Internet Institute dell’omonima univesità inglese. Nel loro lavoro si sono concentrati su alcuni degli aspetti più controversi.
Una stesura ancora troppo vaga per ciò che concerne il legal enforcement per combattere la pirateria lascerebbe la porta aperta ad interpretazioni eccessivamente restrittive. Il trattato, nella sua attuale formulazione, non prevede le tutele per quel tipo di “infrazioni” ai diritti di proprietà intellettuale che possono configurarsi come espressione del diritto di critica, satira o parodia (negli Usa esistono e ricadono sotto il principio del Fair use). Nella peggiore delle ipotesi, la tutela dei diritti di proprietà intellettuale potrebbe essere invocata per criminalizzare il cosiddetto whistle blowing, le soffiate, la pubblicazione non autorizzata di documenti ufficiali non pubblici o la loro discussione da parte di cittadini e organizzazioni.
Ancora: sebbene il trattato sia stato modificato, eliminando le proposte più dure presenti nelle prime versioni, come ad esempio il riferimento alla three strikes policy (riassumibile in “tre infrazioni e sei disconnesso“), ancora non chiarisce il ruolo degli Internet service providers, lasciando campo libero a possibili provvedimenti draconiani, che, soprattutto nei paesi extra UE, potrebbero violare il diritto all’espressione, nella sua accezione più ampia che comprende anche il diritto ad avere un’opinione e il diritto all’accesso all’informazione.
Il trattato minaccia anche il diritto alla riservatezza poiché prevede la possibilità che i dati degli utenti possano essere ceduti anche a paesi che non forniscono adeguate garanzie alla protezione dei dati personali. Cruciale diventa inoltre il ruolo dei fornitori di connettività (Isp), i quali potrebbero essere obbligati a cedere le informazioni relative agli account degli utenti potenzialmente colpevoli di violazioni del copyright ai detentori di diritti (le grosse corporation dell’entertainment, case discografiche ecc.). E questo in base ad una semplice richiesta e senza il pronunciamento di un’autorità gudiziaria. Questa norma, e in generale l’auspicato rapporto di cooperazione tra Isp e rights holders, determina una sorta di “privatizzazione“ del diritto in una materia estremamente sensibile.
Non è la prima volta che Acta viene bocciato dagli esperti. Sono queste preoccupazioni messe in evidenza anche da un precedente studio del Parlamento europeo.
Più in generale è tutta l’ “operazione Acta” a suscitare perplessità. La segretezza iniziale – giustificata dal presidente Usa, Barack Obama, come una necessità per la sicurezza nazionale - ha fatto subito salire il livello dell’attenzione. Le numerose bozze trapelate hanno confermato i timori ed hanno attivato un meccanismo di pressione dell’opinione pubblica che ha fatto fare notevoli passi indietro agli estensori. L’ultima versione ufficiale (.pdf) è stata presentata a dicembre 2010.
Al tavolo della negoziazione i “convitati di pietra” sono i BRICS, ovvero Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa. Scontato notare come la Cina sia il principale centro di produzione di merce contraffatta. Mentre l’India sia stata spesso una spina nel fianco per le grosse aziende farmaceutiche. Perché non dobbiamo dimenticare che quando si parla di proprietà intellettuale si parla anche di brevetti sui farmaci. Il gigante asiatico ha più di una volta messo i bastoni fra le ruote alle Big Pharma per produrre farmaci generici
L’altra anomalia di Acta è il fatto di non essere stato discusso all’interno di un organismo ufficiale come la World Trade Organization, l’Organizzazione mondiale del commercio, o la World Intellectual Property Orgaization, specifica agenzia Onu che si occupa di proprietà intellettuale. Il sospetto è che, progressivamente, verrà rischiesta l’adesione ad Acta ad altri paesi in base ad accordi bilaterali in cui sarà scontata la supremazia delle argomentazioni favorevoli alle superpotenze. Semplificando, accordi del tipo: “aderisci ad Acta e i tuoi prodotti arrivano sul nostro mercato senza dazi eccessivi”.
Più in generale si sta creando un nuovo grande framework giuridico di riferimento che potrebbe sostituire gli accordi precedenti, estendendo a livello globale un modello di copyright se possibile ancora più duro di quello in vigore negli Stati Uniti, e come, deunciato anche da Korff e Brown, troppo sbilanciato a favore dei detentori dei diritti rispetto ai semplici cittadini.