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“Ad Auschwitz … Un solo grande silenzio!”- Intervista a Pino Curtale

Creato il 29 gennaio 2014 da Af68 @AntonioFalcone1

rtNell’ambito delle manifestazioni indette dal Comune di Roccella Jonica (RC) per celebrare la Giornata della Memoria, da martedì 28 gennaio è in corso di svolgimento (orari 9-12 / 17-20) presso l’ex Convento dei Minimi della cittadina (la conclusione giovedì 30), la mostra fotografica di Pino Curtale Ad Auschwitz un solo grande silenzio! La memoria in 35 fotogrammi che non potranno cancellare la Storia. Ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con Pino ed il risultato è l’intervista che potete leggere di seguito.

Pino, dopo aver visitato la mostra ed osservato le 35 fotografie che la compongono, mi ha accompagnato la primaria sensazione che tu non abbia voluto tralasciare alcun particolare dei campi di concentramento, nell’intenzione di voler condividere insieme a quanti visioneranno i tuoi scatti ogni dettaglio idoneo a suscitare immedesimazione, sdegno e commozione per quanto avvenuto all’interno dei lager. Mi ha particolarmente colpito il passaggio dai primi piani, comprensivi dei dettagli di molti oggetti, ai campi lunghi, per lo più all’esterno, come a volersi appropriare di tutto ciò che la macchina fotografica potesse riprendere, farlo tuo ancora prima che divenisse immagine materiale.

Pino Curtale

Pino Curtale

“Effettivamente questa sistematica sequenza è da me voluta nell’ordine espositivo delle foto, per dare un messaggio di contestualità dei due campi (Auschwitz e Birkenau), ma in realtà quando mi trovavo davanti a quei particolari, vi era una spontaneità nello scattare più foto possibili quasi per paura di non riuscire poi a rendermi conto di dove fossi stato.
I campi lunghi di Birkenau, venivano fuori perché non credevo a quella immensa distesa di cui a stento riuscivo a scorgere l’orizzonte”.

Dopo i libri di Storia, i documentari, i filmati televisivi, arrivare a toccare con mano, vedere quei luoghi, immaginare fra le lacrime l’accanirsi bestiale dell’uomo verso l’uomo. Pino, una volta entrato ad Auschwitz, cosa rappresenta oggi questo luogo per te e quali sensazioni ti evoca la parola Shoah?

“Io sono andato ad Auschwitz non solo perché ho ascoltato e letto il racconto drammatico di quel periodo da più fonti, ma anche per aver visto con quale emotività descriveva le sue foto e la sua esperienza l’amico Domenico Scali.
E’ stata quindi anche una sfida di verifica personale riuscire a provare certe sensazioni. Quando mi sono trovato dinanzi quel cancello maledetto, ho avuto un tremore alle gambe, e quella scritta sovrastante portava ai miei occhi tutta la crudeltà dell’essere umano. Ora quando sento la parola Shoah collego tutti quei luoghi, il racconto della guida che mi ha accompagnato, e penso che quella “tempesta distruttiva” della nostra storia è sempre dietro l’angolo, pronta a rinvigorirsi in qualunque momento. Per cui sta a noi non abbassare la guardia divulgando quanto più possibile, così da sensibilizzare e scuotere le coscienze”.

Ancora tuona il cannone, ancora non è contento di sangue la belva umana e ancora ci porta il vento e ancora ci porta il vento…
Così cantava Guccini (Auschwitz): l’uomo sembra non voler trarre alcun insegnamento dalla Storia … Che significato ti senti dare alla parola “memoria” e, soprattutto cosa vuol dire oggi “non dimenticare”?

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“Io ho voluto dare come titolo alla mostra proprio una frase tratta dal testo di quella canzone: Ad Auschwitz … (tante persone), ma un solo grande silenzio…
E non mi riferivo a quello del campo. Il grande silenzio lo vedo ancora tra la gente, che reputa quanto accaduto una cosa tanto lontana nel tempo da non parlarne quasi mai, se non nel Giorno della Memoria.
Ecco, questo è il punto: lasciare lo spazio di rievocazione ad un solo giorno istituzionale non basta, come non basta l’individualità.
Tutti dovrebbero andare almeno una volta nella vita in quei luoghi, e provare gli stessi brividi che ho provato io entrando in quelle baracche. Questo sì che non è facile da dimenticare, la Storia invece deve rimanere viva anche guardando delle semplici fotografie, ed ascoltare, quando si ha la possibilità e l’occasione, dalla voce di un deportato il racconto di quell’orrore, vale più di tanti filmati o pagine lette”.

Da “La zattera del pensiero”


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