29esima — ed ultima per 2014/15 — puntata di “In Media Stat Virus: Il mondo dei media nell’era di Twitter”, dedicata alla diffusione dei tool di ad-blocking ed alle relative implicazioni.
L’uso di Adblock è in continua crescita ed a metà 2014 il 4.9% degli utenti di Internet utilizzava questo tool [ma in Spagna erano il 13.9% e in Polonia addirittura più del 28%]. Adesso arriva anche la versione per mobile.
Le implicazioni non sono affatto trascurabili. Si tratta infatti dell’evidenza che la comunicazione pubblicitaria in realtà non si è evoluta neppure grazie ad Internet; probabilmente perché complessivamente non si sono evolute le logiche di governance aziendali.
La pubblicità continua ad essere qualcosa che interrompe le persone dai propri interessi, qualcosa che infastidisce. Infatti il 20% di coloro che usano un’applicazione per rimuovere la pubblicità dichiara di essere disponibile a pagare per fruire dei medesimi contenuti pur di non avere banner, pop-up ed altro.
Sono trascorsi ormai 10 anni da quando Craig Davis, all’epoca Chief Creative Officer Worldwide di JWT, disse: “Audiences everywhere are tough. They don’t have time to be bored or brow beaten by orthodox, old-fashioned advertising. We need to stop interrupting what people are interested in and be what people are interested in”. Da allora ben poco è cambiato, e i risultati si vedono.
Ovviamente questo impone una riflessione sulla sostenibilità di modelli di business basati solo sull’advertising. Cosa che se è vera nel complesso appare drammaticamente ancor più problematica per quanto riguarda specificatamente i publisher.
Nel podcast sottostante, come d’abitudine, è possibile riascoltare e, volendo, scaricare l’intera puntata per fruire dei contenuti integrali.