Il 28 luglio 1981 Enrico Berlinguer rilasciava questa intervista a La Repubblica. In questi giorni se n’è parlato tanto, come accade spesso in Italia in occasione degli anniversari, poi molto probabilmente non se ne parlerà più fino al prossimo decennio. Sono passati trenta anni da allora ma sembra ieri. In più alcune delle cose segnalate allora sono anche peggiorate. Rileggendo quell’intervista, è stato questo il passaggio che più mi ha colpito:
“I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai, alcuni grandi giornali”.
In sostanza, sin dai tempi di Berlinguer e per tutti questi anni, i partiti si sono sentiti legittimati (vai a capire da cosa) a perpetrare l’occupazione dei posti di potere, senza di pari passo occuparsi responsabilmente dei veri problemi della gente, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti: uno Stato incapace di funzionare con una politica incapace di dare la ricetta per uscire da questa crisi di sistema.
In tutti questi anni, mancando un rigoroso rispetto dell’Etica e della Morale, i partiti si sono rifugiati nell’assunto che avendo essi ottenuto il consenso popolare, per esprimere al meglio l’indirizzo politico, si devono servire degli uomini (i loro uomini) che questo indirizzo sono in grado si esprimere. Tutto ciò però ha dato luogo ad una “perversione” del sistema: quanto più in una comunità è forte il peso di un singolo partito, tanto più è evidente la stortura dei comportamenti cui faceva riferimento Berlinguer. Maggiore invece è la diversificazione, la composizione e l’equilibrio tra le forze politiche in un determinato contesto, minore è l’impatto delle conseguenze perverse del sistema. E’ per questo che, generalmente, si ritiene auspicabile un sistema politico nel quale ci siano più voci. Nella Prima Repubblica, paradossalmente, e nonostante l’occupazione dei luoghi di potere fosse già in atto e con il sistema elettorale di tipo proporzionale, gli interessi in campo e quindi l’occupazione dei posti di potere, per lo meno tenevano conto dell’esatta rappresentanza dettata dalla volontà popolare con un maggiore equilibrio e con più responsabilità. In un sistema politico come quello attuale invece, con due partiti molto forti ed altri che fanno da satellite, la presenza di uomini di partito (spesso sempre gli stessi) nei posti chiave è più evidente e così anche il rischio di accentrare troppo potere in poche persone con tutte le conseguenze del caso. L’attualità politica purtroppo dà forza a questo ragionamento: basti pensare alla Cricca, a parentopoli, alla P4 ecc. ecc.
Qualcuno potrebbe replicare che finché il sistema attuale è “vigente” e in mancanza di autoregolamentazione, la tendenza è quella della perpetrazione di questi comportamenti. Per ovviare in parte all’evidente degeneramento del sistema politico, sarebbe sufficiente mettere in pratica responsabilmente la volontà degli elettori che si sono espressi in un certo modo e per un certo schieramento e/o partito politico. Sarebbe sufficiente che i partiti scegliessero i loro uomini sulla base di riconosciute professionalità – avvalorate semmai da un buon curriculum – avviando un percorso di selezione trasparente e partecipato, eliminando coloro che hanno un conflitto di interesse palese o potenziale. E’ questa la sfida che dobbiamo cogliere a trenta anni da quell’intervista, è questo ciò che si sarebbe dovuto fare a Siena in passato (e in questi giorni) ed è questo ciò che si dovrà fare d’ora in avanti. E’ un segno di rinnovamento anche questo.